Una nuova interessante cura contro il diabete e la glicemia alta passa attraverso le cellule staminali, in particolare attraverso quelle del duodeno ‘lavorate’ in laboratorio per arrivare a trasformarle in cellule che producono insulina. E’ uno dei contributi “più originali” tra quelli presentati nel corso del Congresso nazionale delle malattie digestive che si chiude oggi a Roma.
“Le cellule staminali dal duodeno, cellule che possono essere rese disponibili mediante una semplice biopsia, opportunamente espanse in laboratorio, possono essere indotte a formare cellule di fegato pancreas e vie biliari da usare nell’ambito della medicina rigenerativa e non solo: la ricerca ha infatti dimostrato che queste cellule hanno le potenzialità per diventare cellule che producono insulina, con enormi potenzialità per la terapia del diabete”. Lo ha affermato Domenico Alvaro, presidente della Sige, la Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva, nella nota conclusiva del congresso.
Il Congresso nazionale delle malattie digestive è stato organizzato dalla Federazione italiana delle società delle malattie dell’apparato digerente (Fismad). “La medicina di precisione è considerata un approccio innovativo, ma nasce quasi un secolo fa, quando sono stati scoperti i gruppi sanguigni – ha proseguito Alvaro – dopo questa prima pietra miliare, a dettare il passo è stata certamente l’oncologia, con nuovi farmaci in grado di colpire target a livello subcellulare indipendentemente dall’organo affetto dal tumore, e che hanno dato un forte impulso a tutta la medicina”.
“Oggi il nuovo approdo della medicina di precisione è la stratificazione del rischio, che ci consente di prevedere l’andamento di una malattia cronica in un determinato paziente, e quindi di mettere in campo diverse strategie di sorveglianza – osserva – Questo avviene ad esempio nei pazienti con cirrosi epatica, malattia che ha varie sfaccettature e che in alcuni pazienti può portare all’encefalopatia epatica, in altri all’emorragia digestiva e in altri ancora all’epatocarcinoma. Riconoscere le tipologie di paziente al momento della diagnosi porta a elaborare diversi approcci preventivi anche se la malattia è una sola”.
È stato inoltre ribadita la centralità dei gastroenterologi in campo nutrizionale: una corretta alimentazione non è solo la prima prevenzione contro numerose malattie degenerative e metaboliche, ma può addirittura divenire terapia, ad esempio per evitare il rischio malnutrizione nelle malattie croniche e neoplastiche.
“Probabilmente noi gastroenterologi abbiamo trascurato troppo a lungo l’alimentazione dei nostri pazienti – ha sottolineato Giuseppe Milazzo, presidente Aigo, l’Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri – Mi piace però pensare che oggi alcune abitudini e alcuni cibi vengano considerati armi del terzo millennio contro un gran numero di patologie”.
“Sappiamo infatti che le malattie metaboliche saranno le malattie che incideranno di più in assoluto su malattie gastrointestinali e non solo, quindi dobbiamo prevenirle – ha proseguito Milazzo – Possiamo farlo educando a una corretta alimentazione sin dai primi anni di scuola, senza demonizzare nessun alimento in particolare (no alle campagne contro la carne rossa ad esempio) ma con la consapevolezza che ci sono cibi ‘buoni’ come l’olio d’oliva, il pesce azzurro e le verdure. Occorre insistere sul tema perché, ricordiamolo, un ‘fil rouge’ lo collega ad un altro importantissimo argomento: la prevenzione primaria di gravi patologie anche oncologiche, come il cancro colo-rettale uno dei big killer dei nostri tempi”.
“II cancro gastrico si colloca al quinto posto per incidenza e al terzo posto per mortalità correlata – afferma Luigi Pasquale, presidente della Società italiana di endoscopia digestiva – parliamo dunque di una patologia estremamente diffusa a cui prestare la massima attenzione: un dato della letteratura recente riporta che la sopravvivenza a cinque anni è inferiore al 30%. Una percentuale davvero bassa, che possiamo però migliorare individuando gli stadi precancerosi della malattia, ovvero lesioni precoci che possono essere trattate dal punto di vista endoscopico”. “Questo consentirebbe di inserire i pazienti diagnosticati in programmi di screening. Attenzione però! La cadenza con la quale proporre esami endoscopici di controllo non va lasciata all’arbitrio del singolo operatore, ma dovrebbe obbedire a proponimenti internazionali”, ha concluso Pasquale.