“Se Imane Fadil è stata uccisa, e se la strategia usata per farlo è stata l’avvelenamento con sostanze radioattive, questo presunto omicidio potrebbe essere qualcosa di molto vicino al ‘delitto perfetto‘”. Lo spiega Angelo Del Sole, professore di Diagnostica per immagini all’università degli Studi di Milano e direttore della Struttura complessa di Medicina nucleare dell’ospedale San Paolo del capoluogo lombardo, sentito dall’AdnKronos Salute sul giallo della modella testimone chiave dei processi Ruby.
Il problema, precisa infatti l’esperto, è che “non esiste un marker in grado di indicare con assoluta certezza che la causa di un decesso è stata la radiazione“. E’ quindi probabile che “l’autopsia riesca ad accertare la condizione patologica che ha portato alla morte, ma non a identificare con esattezza l’agente che l’ha provocata“. Senza contare poi che, “se davvero si è utilizzata questa tecnica di avvelenamento, è assai plausibile che chi lo ha fatto sia qualcuno di molto competente sull’argomento – ragiona Del Sole – e che di conseguenza avrà scelto anche la sostanza o le sostanze radioattive a emivita più breve, ossia meno facilmente rilevabili a distanza di numerose settimane dall’esposizione“. Va infatti ricordato che la modella morta il 1 marzo è stata ricoverata all’Istituto clinico Humanitas di Rozzano a fine gennaio, cioè circa 2 mesi e mezzo fa.
Quanto ai presunti rischi che potrebbe correre una persona che si ritrovi accanto al corpo della 34enne, o chi è entrato in contatto con la donna prima del suo ricovero o durante la degenza, “tenderei a escludere che ci possa essere un pericolo mortale – dice lo specialista – o in grado di creare danni alla salute, salvo che si tratti di una donna in gravidanza o di un bambino“.
Un po’ diverso è invece il caso degli anatomopatologi che effettueranno l’autopsia: “Se si parte dal presupposto che la giovane sia stata avvelenata con sostanze radioattive che producono un danno al midollo, e dunque sono in grado di fissarsi sulle ossa – avverte Del Sole – il contatto con queste dovrà avvenire prendendo opportune precauzioni che sicuramente gli esperti incaricati sapranno adottare“.
Tornando al concetto di radioattività, “è sicuramente una condizione che non può insorgere per un evento accidentale“, spiega ancora il medico nucleare. Nei casi di avvelenamento, “la radioattività viene ‘inserita’ per via iniettiva (cosa che esige tuttavia uno stato di incoscienza della vittima) o più facilmente per via aero-digestiva, tipicamente attraverso una bevanda“.
Radioattività poi “è un termine del tutto generico – puntualizza Del Sole – perché ne esistono forme differenti legate al tipo di radiazione o di radiazioni emesse dai radionuclidi“, i materiali che sprigionano radiazioni ionizzanti.
“Nella pratica diagnostica, per esempio, le radiazioni tipiche sono quelle gamma in grado di uscire dal corpo umano perché l’obiettivo è proprio quello di captarle, ed è per questo che dopo un esame che le utilizza il paziente viene genericamente invitato a evitare nelle ore immediatamente successive contatti specie con donne in gravidanza o bambini“. Mentre “le radiazioni caratteristiche della pratica terapeutica, in cui si deve produrre un danno alla patologia che si colpisce, sono quelle che restano localizzate e cioè le alfa e le beta. Esistono tuttavia radionuclidi che emettono contemporaneamente tipi di radiazioni diverse, ad esempio sia beta sia gamma“.
Stando ai risultati delle indagini tossicologiche effettuate sui campioni biologici di Imane Fadil al Centro antiveleni dell’Istituto Maugeri di Pavia – confermati all’AdnKronos Salute – nel sangue della donna sono stati riscontrati cobalto, cromo, molibdeno, nichel, antimonio e cadmio, comunque al di sotto dei livelli di tossicità. Ma una cosa sono le concentrazioni plasmatiche di metalli pesanti, un’altra la possibilità che questi siano presenti in forma radioattiva. L’ipotesi sulla quale è al lavoro la procura di Milano.
“Degli elementi citati – commenta in ogni caso lo specialista – l’unico di possibile utilizzo medico è il molibdeno, ben noto alla medicina nucleare perché ‘padre’ del tecnezio che si usa in diagnostica“. Gli altri devono essere ‘arrivati’ nel corpo della modella in modi diversi. E benché – tabelle degli isotopi alla mano – quasi tutti possano avere radionuclidi in grado ‘liberare’ anche radiazioni gamma, “è molto difficile che la semplice vicinanza a un corpo che le emette possa comportare rischi gravi – ribadisce Del Sole – se non appunto nel caso di donne in attesa, bimbi o operatori che pratichino particolari interventi sanitari“.