Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato come un basso stato socioeconomico sia un importante fattore di rischio per la salute. Può apparire una condanna definitiva per chi nasce in una famiglia dalle condizioni svantaggiate. Ma questo non è un destino immutabile: se si riesce a migliorare il proprio stato, non solo economicamente ma anche culturalmente, le prospettive in termini di lunghezza della vita e stato di salute migliorano in modo netto. E’ quanto emerge da uno studio dell’Irccs Neuromed di Pozzilli che ha dimostrato come il miglioramento di stato sociale nel corso della vita sia associato a una riduzione della mortalità.
Sono le cosiddette “traiettorie di vita” quelle su cui si è concentrato lo studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia e prevenzione dell’Irccs molisano, pubblicato sulla rivista Journal of Epidemiology and Community Health. I ricercatori hanno analizzato il rapporto tra stato socioeconomico nel tempo e mortalità in un campione di oltre 22mila persone reclutate nell’ambito dello studio ‘Moli-sani’.
“Ricerche di questo tipo – spiega in una nota Marialaura Bonaccio, epidemiologa del Dipartimento e primo autore dello studio – si concentrano di solito su uno o più indicatori socioeconomici misurati in una ben precisa unità temporale. Ad esempio, di un adulto si valuta il livello di istruzione, ma senza sapere cosa è accaduto prima o dopo il conseguimento del titolo di studio. Le combinazioni possibili sono tante, e una persona che nasce in una famiglia svantaggiata può migliorarsi, sia culturalmente che come posizione sociale. Noi abbiamo voluto studiare quelle che in gergo vengono chiamate ‘traiettorie’ ossia i possibili percorsi sociali che ciascuno di noi può intraprendere nell’arco della propria vita“.
Dall’analisi di queste traiettorie – riferisce la nota – si è potuto vedere come le persone che durante l’infanzia avevano un basso stato socioeconomico, ma che poi avevano conseguito un buon livello di istruzione e un migliore quadro economico, riportavano un rischio di mortalità inferiore rispetto a chi non era riuscito a migliorarsi nelle fasi della vita adulta. Non solo: la sopravvivenza diventava simile a chi invece era partito avvantaggiato, con un’infanzia più agiata.
Ma è una via che può essere percorsa anche al contrario, come spiega Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento e professore di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria: “Un altro aspetto interessante dello studio è che i soggetti che avevano una buona condizione socioeconomica durante l’infanzia rischiano di perdere qualsiasi vantaggio, in termini di sopravvivenza, nel momento in cui non raggiungono un livello di istruzione adeguato. Questi dati suggeriscono che le circostanze socioeconomiche nella prima fase della vita, svantaggiose o favorevoli che siano, devono essere considerate alla luce dell’evoluzione successiva dei dati socioeconomici individuali”.
“E’ una interessante, e quanto mai attuale, estensione del concetto di ‘ascensore sociale’ – commenta Giovanni de Gaetano, presidente di Neuromed – Gli svantaggi socioeconomici durante l’infanzia non rappresentano una condanna senza possibilità di appello: i miglioramenti culturali ed economici riescono a controbilanciarne quel peso negativo iniziale. Con questi dati troviamo un ulteriore sostegno scientifico alla necessità di fare tutto il possibile per una società veramente democratica. Secondo molti commentatori in Italia negli ultimi anni l’ascensore sociale si è fermato: chi nasce povero rimane povero, chi nasce in una famiglia a bassa scolarizzazione non raggiungerà un alto livello di educazione. Questo non è solo un problema per la qualità della vita dei cittadini: ora sappiamo che sta mettendo a rischio la salute stessa degli italiani”.