«Alcuni cittadini campani corrono un grave rischio di infertilità a causa dell’inquinamento. Molti studi epidemiologici, infatti, hanno mostrato che i fattori ambientali e l’esposizione ad agenti chimici e fisici (comprese i campi elettromagnetici) possono alterare in modo significativo le dimensioni e il numero degli spermatozoi». E’ questo l’allarme lanciato da Fabrizio Iacono, specialista in urologia e in andrologia e professore della Federico II, in occasione di un incontro tenutosi nei giorni scorsi a Napoli. «Addirittura, uno studio tutto italiano pubblicato sulla rivista Environmental Toxicology and Pharmacology – aggiunge Iacono – è riuscito a misurare l’impatto dell’inquinamento sulla salute maschile analizzando solo il liquido spermatico. E il risultato è chiaro: chi vive in aree gravemente inquinate come la Terra dei Fuochi, a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, ha una percentuale media di frammentazione del Dna dello spermatozoo superiore al 30%. Quindi con un chiaro danno sulla fertilità».
I picchi di infertilità legati ad alcune specifiche aree della Campania sovrastano quello che tuttavia è un trend nazionale e che ha visto negli ultimi dieci anni un brusco calo della fertilità maschile a causa della diminuzione del numero degli spermatozoi nel liquido seminale di circa il 50%.
Iacono spiega che «delle tante coppie che si presentano agli ambulatori di coppia per problemi di fertilità, nel 30% circa dei casi il problema è legato ad un’infertilità maschile per il quale c’è bisogno della consulenza dell’andrologo». In parte il problema è legato all’avanzare dell’età media, ma nella maggioranza dei casi i fattori in gioco sono: radiazioni, microtraumi, inquinamento ambientale e alimentare e fumo di sigaretta».
Quello dell’infertilità maschile è un tema tanto attuale e preoccupante da aver spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a considerarla come una malattia sociale. Addirittura, uno studio apparso sulla rivista Human Reproduction Update mette in luce che il numero di spermatozoi per millilitro è calato da 99 milioni nel 1973 a 47 milioni nel 2011.
Esistono poi delle malattie che possono minare la fertilità maschile.
«Circa il 30-40% dei giovani di età compresa tra i 16 e i 35 anni – dice l’urologo – sono affetti da malattie come varicocele, fimosi, idrocele e ipospadia. Si tratta di patologie che in alcuni casi possono interferire sulla fertilità del giovane, e purtroppo devo constatare che sono in aumento anche i tumori del testicolo. Anche una maggiore promiscuità sessuale dovuta alla caduta di molti tabù e ad una maggiore apertura ai rapporti interpersonali ha reso possibile un significativo aumento delle infezioni sessuali spesso causa di infertilità nel maschio».
L’esperto mette in luce però anche un problema culturale, particolarmente sentito nel Sud Italia: tra gli uomini, soprattutto nei giovani, non esiste a tutt’oggi una attenzione alla valutazione della propria fertilità. Inoltre, con l’abolizione della visita di leva obbligatoria per il servizio militare è venuta meno anche una forma di prevenzione andrologica di massa. «L’uomo si preoccupa soprattutto di problemi funzionali – conclude Iacono – legati ai disturbi della propria potenza sessuale e molto meno della propria fertilità. Non esiste una conoscenza esatta del proprio organo sessuale e molto spesso si ignorano del tutto le funzioni riproduttive di alcuni organi. Purtroppo ci si rende conto di questi problemi solo troppo tardi e nel momento in cui si decide di avere un bambino e a volte può essere troppo tardi per una terapia». Se la diagnosi viene posta in tempo le possibilità terapeutiche potrebbero essere concrete e definitive. Sarebbe opportuna, quindi, una educazione alla prevenzione al maschile osi come avviene per le donne oramai da decenni.