E’ stata ancora una volta l’approssimazione priva di sostanzialità dei propri provvedimenti a costringere la Regione Lombardia a fare i conti con una censura giudiziaria. Succede da decenni, ed è successo ancora con quella che, pur essendo pluridecennale, si continua a spacciare per una emergenza: la presenza del cinghiale.
Giorni fa il Tar ha buttato nel cestino con una sentenza il decreto del marzo 2018 che regolava il cosiddetto «controllo» di questa specie sul territorio della Provincia di Brescia, e lo ha fatto, appunto, sottolineando l’inconsistenza di tesi e calcoli della Regione. Ha censurato l’affermazione che attorno al caso cinghiali esista una qualche forma di allarme sociale, e ha puntato l’indice sull’assenza del rispetto del concetto di «tollerabilità», ovvero della capacità di un territorio di sopportare la pressione di questa specie, che si vuole utilizzare chiaramente come pretesto per autorizzare una caccia non stop in Lombardia.
Del resto questo è l’obiettivo inconfessabile di chi questa presunta emergenza l’ha creata e continua ad alimentarla: quei cacciatori chiamati dalla Regione a «controllare» un presunto problema che non intendono assolutamente eliminare. Alla luce di questa ennesima sconfitta, le associazioni LAC e LAV chiedono alla Regione Lombardia di finirla di regalare provvedimenti ad hoc a chi vuole sparare tutto l’anno: oggi tocca a cinghiali, volpi, cormorani e nutrie; quali saranno le prossime specie a finire nel mirino per la grave colpa di nutrirsi?
Nell’attesa di un cambio di rotta, le associazioni LAC e LAV si sono costituite parti civili nel procedimento giudiziario aperto dalla magistratura bresciana nei confronti di ufficiali e funzionari della polizia provinciale e dell’Ufficio territoriale regionale accusati di una serie di illeciti legati proprio al «buco nero» del contenimento del cinghiale nel Bresciano.
Così in un Comunicato.