Alle 01:24 del 26 aprile 1986 un guasto al reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl, nei pressi di Kiev in Ucraina, provoca il più grande incidente della storia dell’energia nucleare. La nube radioattiva che si sviluppa investe tutta l’Europa provocando una serie di conseguenze nella popolazione.
A distanza di 33 anni uno studio svizzero ha rilevato ancora tracce di radioattività nei funghi e nella selvaggina del Canton Ticino: secondo le ultime rilevazioni del Laboratorio del Canton Ticino, riportate oggi da “Il Corriere di Como“, tracce di radioattività sono ancora presenti nei funghi selvatici commestibili e nella selvaggina del cantone svizzero di lingua italiana. Il quotidiano ricorda che anche nel 2017 Arpa aveva rilevato in Lombardia, nel 30% dei campioni di prodotti alimentari, la presenza di tracce di Cesio 137 riconducibili all’incidente di Chernobyl. La maggior parte di questi campioni (84 su 95) era selvaggina, frutti di bosco, funghi e pesci di lago: solo in un caso era stato superato il limite stabilito dalla normativa europea.
L’incidente
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 si verificò l’esplosione al reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl mentre era in corso un test per il quale erano stati staccati i sistemi di sicurezza. Durante una prova per verificare il funzionamento della turbina in caso di mancamento improvviso di corrente elettrica, errori umani e tecnica difettosa crearono le condizioni per il disastro. L’orologio segnava l’una, 23 minuti e 44 secondi. Fuoriuscirono circa il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera, con un’emanazione di radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Sebbene il disastro giapponese avvenuto a Fukushima nel 2011 abbia raggiunto lo stesso livello massimo di classificazione sulla scala internazionale “Ines“, il settimo, l’incidente nell’allora repubblica sovietica è considerato ancora dagli esperti il più grave, per la velocità, l’entità della fuga di materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area. La nube radioattiva si spostò rapidamente da Chernobyl verso gran parte d’Europa. Secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 km dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio, cesio e plutonio.
Secondo l’Iaea furono circa 4000 le vittime causate direttamente dalle radiazioni, tra di essi in larga parte i cosiddetti “early liquidators”, coloro cioè che lavorarono per primi tentando di tamponare i danni dopo l’esplosione. Cifre non ufficiali alzano il numero dei morti sino a 25mila in tutti e tre i Paesi (Ucraina, Bielorussia e Russia) investiti dalla nube radioattiva. Certezze non ve ne sono, nemmeno per i numeri delle persone colpite da malattie – cifre sempre non ufficiali indicano 100mila casi di tumore alla tiroide per persone di tutte le età nelle tre ex repubbliche sovietiche – e da disturbi psicologici che possono aver interessato i cinque milioni di persone che anche per un breve periodo sono state esposte a radiazioni sopra la norma appena in seguito alla catastrofe.