Una abitazione su quattro avrebbe un percentuale troppo alta di umidità nell’aria, e di conseguenza un rischio superiore del 50% di sviluppare asma e riniti allergiche. Inoltre l’umidità presente nelle abitazioni favorirebbe lo sviluppo di muffe tutt’altro che innocue. A confermarlo, con ampi numeri, è uno studio pubblicato sullo European Respiratory Journal. L’eccessiva umidità indoor (superiore al 60%) favorisce la proliferazione di muffe e l’esposizione alle tossine da loro prodotte può scatenare reazioni infiammatorie.
Un problema questo piuttosto frequente, favorito anche dall’adozione di infissi per la riduzione delle emissioni energetiche: sono infatti caratterizzati da una perfetta sigillatura, che non fa entrare spifferi di freddo ma non favorisce neanche quel ricambio di aria che gli spiragli delle vecchie finestre garantivano. I ricercatori hanno selezionato una coorte di 11.506 adulti provenienti da Islanda, Norvegia, Svezia, Danimarca ed Estonia (la metà dei quali fumatori o ex) a cui è stato chiesto di rispondere a un questionario sulla salute respiratoria e le condizioni ambientali in casa e nell’ambiente di lavoro.
Esaminati 10 anni dopo, il 25% dei partecipanti ha riferito di umidità a casa, dovuta ad esempio a danno idrico, o proveniente dai pavimenti o dai muri. E questa era correlata all’esordio di asma e rinite, con un rischio di circa il 50% maggiore rispetto a chi non era esposto. La combinazione dell’umidità a lavoro e di quella domestica ha aumentato il rischio di sintomi respiratori e diminuito la percentuale di remissione del problema. L’ambiente indoor ideale dovrebbe avere una temperatura di circa 21 gradi, un tasso di umidità tra il 40 e il 60%. Senza dimenticare un frequente ricambio di aria.