Si chiamano “Key Populations” e sono le comunità di persone particolarmente e rischio infezione di malattie come Epatite C, Hiv e non solo. Una piaga di proporzioni globali sempre più difficile da combattere anche a causa delle particolari condizioni in cui queste persone si trovano, come ad esempio la tossicodipendenza, lo stato di migrante, la detenzione e, più in generale, una situazione di svantaggio sociale ed economico.
NESSUNO SIA LASCIATO INDIETRO – E’ proprio dal tema delle Key Populations che partirà il confronto della riflessione “No one is left behind” promosso con il contributo non condizionato di Gilead Sciences all’interno del Festival della Salute globale, che si svolge a Padova da oggi al 7 aprile. Il Festival invita a riflettere proprio sul tema della salute globale allargando lo sguardo sia in senso geografico (analizzando l’interdipendenza esistente tra fenomeni locali e globali), sia in senso disciplinare (avvalendosi del contributo non solo delle scienze mediche ma anche di quelle sociali, umane, dell’economia del diritto).
L’intervento “No one is left behind” sarà coordinato dal giornalista Daniel Della Seta, attraverso contributi filmati e approfondimenti giornalistici divulgativi sulle azioni già intraprese lo scorso novembre a Roma con il presidio sanitario di Piazza San Pietro per la Giornata della Povertà indetta da Papa Francesco, e l’adesione della Chiesa, e le numerose iniziative volte a fare prevenzione e conoscenza all’interno delle carceri, tra i luoghi di più largo contagio del virus.
L’incontro vedrà ospiti alcuni dei massimi specialisti infettivologi come relatori Massimo Andreoni, Direttore delle Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata Roma, Sergio Babudieri, Direttore delle Malattie Infettive dell’Università di Sassari e Direttore Scientifico della SIMSP – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria e Massimo Galli, Professore Ordinario Malattie Infettive Università degli Studi di Milano e Presidente della SIMIT – Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, su come delineare nuove prospettive e scenari che consentano di garantire assistenza e cure per le popolazioni marginalizzate, ovvero quelle categorie che soffrono disagi di tipo economico o sociale. Un tema per la quale sensibilizzazione delle Istituzioni è quanto mai centrale, al fine della piena implementazione del Piano di eliminazione nazionale dell’infezione da virus dell’epatite C e del Piano nazionale di prevenzione e cura dell’HIV, affinché nessuno venga lasciato indietro.
LE CINQUE PRIORITA’ DEGLI INFETTIVOLOGI – “Nelle malattie infettive, è noto che l’ambito clinico per definizione tutto cambia e tutto torna, o può tornare. Nell’arco di una vita professionale può capitare – sottolinea il Prof. Massimo Galli, Presidente della SIMIT – di cominciare occupandosi prevalentemente di epatiti e fegato, per poi dover affrontare l’emergenza di HIV e quindi trovarsi le infezioni da microrganismi multi resistenti come parte centrale della propria attività assistenziale. Il tutto affrontando malattie che possono riguardare ogni organo ed apparato, da contestualizzare in problematiche sociali e comportamentali talvolta del tutto peculiari. Nella continua necessità di conciliare competenze cliniche generaliste ad alta specializzazione, l’uso aggiornato del laboratorio diagnostico alle decisioni al letto del paziente. Essere rete di protezione civile e servizio d’accoglienza per fragilità sociali”.
La Simit ha definito ‘big five’- i cinque grandi capitoli di cui siamo chiamati ad occuparci. L’infezione da HIV, per la quale siamo chiamati a continuare a far ricerca per trovare soluzioni per tutti gli aspetti irrisolti,ancora numerosi e sostanziali. E sul piano assistenziale e di prevenzione, ottenere l’applicazione del Piano Nazionale AIDS.
PARTE LA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE DA MAGGIO – L’HCV, per cui si è aperta la straordinaria opportunità di eliminare l’infezione una volta per tutte nella stragrande maggioranza delle persone trattate. Una malattia per cui l’obiettivo non è più trovare nuove cure, ma fare emergere il sommerso, conoscerne l’entità, individuare il modo di raggiungere le persone inconsapevoli di essere infettate e avviarle al trattamento. Ecco perché parte da maggio 2019 con spot tv e azioni media concertate, questa grande campagna di sensibilizzazione e conoscenza per spingere la popolazione colpita e talora ignara della malattia, all’eliminazione del virus dell’Epatite C, con una terapia di poche settimane per bocca e senza alcun rischio. E ancora, riempiono il terzo capitolo le infezioni batteriche difficili (ospedaliere e di comunità), le resistenze microbiche e la necessità di un approccio di salute globale a questo tema, che include il vasto uso di antimicrobici a scopo auxologico negli allevamenti, ponendo così l‘accento sul necessario impiego diffuso della antimicrobial stewardship gestita da specialisti e che offre continue sorprese, come le infezioni da Mycobacterium chimaera.
La quarta tematica è invece rappresentata dalle malattie della globalizzazione, dalle infezioni da vettori (di cui abbiamo avuto importanti esempi anche in Italia, basti pensare ai 42 morti di encefalite da virus West Nile dell’estate 2018 e all’epidemia di Chikungunya del 2017) ma anche da malattie sempre rimaste presenti come la tubercolosi o le meningiti batteriche. Quest’ultima porta al quinto grande capitolo, quello dei vaccini, a favore dei quali e della loro diffusione SIMIT si è fermamente schierata da sempre. Con un’ulteriore sottolineatura delle attuali carenze, in particolare per quanto riguarda la copertura vaccinale degli adulti portatori di patologie croniche, attualmente del tutto insufficiente.
TOSSICODIPENDENZA ED EPATITE C – “Oggi abbiamo a disposizione farmaci per combattere l’Epatite C che sono così efficaci da assicurare nella quali totalità dei casi l’eradicazione dell’infezione. In questo scenario bisogna allora porsi la domanda: quali siano le categorie di persone nelle quali l’infezione si trova a circolare maggiormente e che quindi fanno da serbatoio dell’infezione” spiega il Prof. Massimo Andreoni Direttore Scientifico della SIMIT, con particolare riferimento ai soggetti tossicodipendenti per via endovenosa.
“Oggi, infatti, circa l’80% delle nuove infezioni avviene attraverso lo scambio di siringa o di oggetti contaminati tra soggetti tossicodipendenti – continua il Prof. Andreoni – In quest’ottica è quindi chiaro che un progetto di eliminazione dell’infezione all’interno di un determinato contesto sociale debba prevedere il trattamento di questa categoria di persone”. A incoraggiare una sempre più necessarie e urgente strategia di terapia in questa direzione, il dato dimostrato che le terapie finora somministrate in persone tossicodipendenti attivi sia perfettamente efficace al pari di tutti gli altri pazienti. “La tossicodipendenza quindi non è un fattore che modifica l’efficacia del trattamento – conclude il Prof. Andreoni – E una volta stabilito l’urgenza di trattare queste persone, dobbiamo attuare strategie finalizzate per far emergere il sommerso in queste popolazioni, ossia avviare campagne di screening per individuare con sempre più capillarità i pazienti da trattare. Basti considerare che in Italia circa 50% dei tossicodipendenti per via endovenosa è affatto dal virus dell’Epatite C: molti di questi soggetti non sanno nemmeno di essere malati”.
EPATITE C NELLE CARCERI: OBIETTIVO MICRO ERADICAZIONE – Ogni anno all’interno dei 190 istituti penitenziari italiani transitano tra i 100mila e i 105mila detenuti. In un contesto in cui circa il 70% dei detenuti possiede almeno una malattia cronica ma di questi solo poco meno della metà ne è consapevole, “le carceri si confermano un vero e proprio concentratore di patologie – spiega il Prof. Sergio Babudieri, Direttore Scientifico della SIMSP – Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – Tra le malattie infettive, per l’Epatite C almeno un terzo di queste persone detenute sono di fatto etichettabili con il rischio di trasmissione endovenosa, considerando ovviamente come causa principale il fenomeno della tossicodipendenza. Ciò vuol dire che ci troviamo davanti a una massa critica annuale di circa 35mila persone con alle spalle una storia legata a reati connessi a sostanze stupefacenti e tra loro, circa il 70% è venuto in contatto (che non vuol dire ne sia necessariamente affetto) con il virus dell’Epatite C”.
Da qui, da queste 25mila persone che ogni anno in Italia transitano in stato di detenzione, “deve partire la sfida e l’impegno di andare carcere per carcere, istituto detentivo per istituto detentivo, a individuare uno per uno questi soggetti potenzialmente affetti e, nel caso, confermarne lo stato di malattia e di conseguenza trattarne la patologia con le terapie indicate, evitando soprattutto la possibilità di contagio con altre persone”, continua il Prof. Babudieri. L’obiettivo, quindi, è quello della micro eradicazione dell’HCV, per ridurre in modo sensibile ed efficace il “serbatoio” della malattia e quindi, di conseguenza, l’incidenza della malattia stessa.