Una birra con un minore impatto ambientale e più redditizia per i coltivatori che forniscono l’ingrediente primario: il luppolo. Ma soprattutto parlerà italiano, mentre ora il 97% del luppolo utilizzato dai birrifici nazionali è importato. Con acquisti concentrati su tre varietà Usa e una tedesca per un valore complessivo stimato a 300 milioni di euro l’anno.
Nel basso Lazio, a Terracina una start up di giovani – nel team un laureato in ingegneria e un ricercatore in agraria – ha avviato una coltura sperimentale idroponica (fuori suolo) di luppolo. “Una coltura che non richiede terra perché – come spiega il ceo di Idroluppolo, Alessio Saccoccio – la pianta cresce quattro volte di più nel suo substrato e ci permette di produrre quattro volte di più, dimezzando il consumo di acqua. I raccolti inoltre sono due l’anno, assicurando maggiore redditività anche alla filiera agricola. E l’uso delle serre consente di mettere da parte gran parte dei timori per il maltempo“. “L’idea – spiegano i neoimprenditori agricoli – è nata dal racconto di amici che hanno aperto un microbirrificio a Londra con grandi difficoltà per reperire luppolo di qualità. Con l’idroponica questa criticità è superabile anche per piccole imprese“.
Un test effettuato su 100 metri quadri ha già superato la prova del primo raccolto con la fornitura a km 0 ad un birrificio pontino, ma l’obiettivo è quella di avviare una rete di imprese per il luppolo 100% made in Italy. L’idroluppolo ha già vinto premi della Regione Lazio e tramite Facebook ha avviato iniziative di crowdfunding. “Stiamo cercando anche partner per l’Africa – continua Saccoccio – che ha aree con la fascia climatica ideale per l’idroluppolo. Per lo sviluppo della coltivazione non abbiamo bisogno dell’inverno perché facciamo un ‘letargo’ indotto della pianta ma temperature dai 14 gradi a 30 gradi“.