(Dall’inviata dell’AdnKronos Salute Margherita Lopes) – Un continente vittima dell’emicrania. In Europa sono oltre 136 milioni i cittadini costretti a fare i conti con questa patologia, che colpisce oltre un miliardo di persone nel mondo. Le donne ne sono vittima da 2 a tre volte di più, e soffrono di attacchi ripetuti, più lunghi e pesanti. Con costi diretti e indiretti che, secondo recenti studi, si aggirano intorno a 27 mld di euro. A fare il punto sono gli esperti intervenuti oggi al 13.esimo European Headache Federation (Ehf) Congress, in corso ad Atene. “Non si tratta di un semplice mal di testa, ma di un dolore spesso accompagnato da nausea, vomito, fotofobia, che brucia giorni di scuola e di lavoro“, precisa Messoud Ashina, neurologo dell’Università di Copenhagen (Danimarca).
Se in Ue ne soffre il 15% della popolazione, il dato scende al 13% negli Usa e al 9% in Asia. E a livello globale l’1-4% della popolazione ha attacchi quotidiani. “Fa riflettere il fatto che questa patologia sia più diffusa nella fascia d’età dai 25 ai 55 anni, quando i pazienti sono nella fase più attiva della vita. E il 5-6% ne soffre almeno una volta a settimana. C’è chi si chiude in casa e chi cerca comunque di lavorare, ma la performance ne risente“, aggiunge Ashina. Per ‘spegnere’ il dolore ci sono diverse armi non specifiche utilizzate in fase acuta, e spesso si ricorre al ‘fai da te’. “Molti pazienti cercano di evitare quei fattori che pensano scatenino il dolore: alcuni cibi, vino, dolci. La cosa sembra magari funzionare per un po’, ma poi – avverte – il dolore ritorna“. E un attacco di emicrania può durare anche 72 ore.
Se il 40% dei pazienti potrebbe beneficiare di una terapia preventiva, a utilizzarla è meno del 15%. “Attenzione però: un trattamento non efficace in fase acuta raddoppia il rischio di una cronicizzazione, come accade anche con l’uso di barbiturici e oppiodi”, aggiunge Ashina.
Ad Atene sono stati presentati i dati dello studio Focus di fase III, che ha valutato la sicurezza e l’efficacia di un nuovo anticorpo monoclonale nei pazienti con emicrania cronica ed episodica, che avevano mostrato una risposta inadeguata ad altri trattamenti. Al centro dello studio, randomizzato contro placebo, c’è fremanezumab (Teva), un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega al peptide correlato al gene della calcitonina, legato alla patogenesi dell’emicrania. Il farmaco, spiega Ashina che ha partecipato allo studio multicentrico su oltre 800 pazienti, è stato testato con dosaggio trimestrale e mensile.
“Lo studio ha dimostrato benefici in una popolazione di pazienti difficile da trattare“, ha spiegato Joshua Cohen, Global Medical Lead for Migraine & Headache di Teva. Più del 50% dei pazienti ha sperimentato una riduzione dei giorni di emicrania mensili, con una piccola percentuale che li ha azzerati, durante un periodo di 12 settimane. Il farmaco è iniettabile e si somministra a livello sottocutaneo. Fra gli effetti collaterali più comuni, si registrano “reazioni nel sito dell’iniezione“, spiega Ashina. Dopo l’autorizzazione dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), un paio di mesi fa, è iniziato l’iter per l’arrivo dell’anticorpo monoclonale in Italia.