Tumore all’ovaio: identificati geni imputati del cancro, possibili bersagli per nuove terapie

Tumore all’ovaio: all’origine un sbilanciamento tra geni dovuto a un anomalo arricchimento di DNA
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Lo sviluppo del tumore sieroso ad alto grado dell’ovaio, sia primario che metastatico, sarebbe favorito da un gruppo di geni presenti in due specifiche regioni cromosomiche (3q26.2 e 8q24.3) in conseguenza di un anomalo arricchimento di DNA.

A queste conclusioni è arrivato uno studio, pubblicato sull’autorevole rivista specializzata “International Journal of Cancer”, realizzato dai ricercatori dell’Unità di Genomica Traslazionale, diretta da Sergio Marchini, che fa capo al Dipartimento di Oncologia dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS.

Questo arricchimento di DNA (tecnicamente: amplificazioni cromosomiche) risulta presente solo nel tumore sieroso ad alto grado dell’ovaio e determinerebbe uno sbilanciamento di uno o più geni presenti nelle due regioni suddette.

Un’analisi più approfondita, resa possibile dalle nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, ha dimostrato che in queste due regioni sono presenti 16 geni che presumibilmente giocano un ruolo nell’insorgenza del tumore ovarico e potrebbero essere dei bersagli per nuove terapie.

Le nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, note come tecnologie NGS (Next Generation Sequencing) e l’applicazione dello sviluppo di sofisticati algoritmi di analisi sviluppati dal gruppo di bioinformatica dell’Istituto Mario Negri, infatti, hanno reso possibile indagare con un inedito dettaglio questi difetti genetici direttamente sulle biopsie di pazienti. Grazie anche ai potenti strumenti di calcolo disponibili al Mario Negri messi a disposizione dal progetto Cloud4Care – spiega Sergio Marchini”.

Questi studi – conclude Maurizio D’incalci, Capo Dipartimento Oncologia dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS –  costituiscono un primo, importante passo verso l’identificazione di terapie più specifiche per la cura del tumore ovarico”.

Lo studio è stato possibile grazie alla sinergia di diversi gruppi di ricerca italiani, ma soprattutto  alla disponibilità di campioni biologici conservati in modo meticoloso presso la  bio-banca Pandora,  sviluppata da oltre 20 anni al Mario Negri, con il supporto della Fondazione Nerina e Mario Mattioli Onlus, in collaborazione con  i chirurghi ginecologi e gli anatomopatologi dell’Ospedale San Gerardo di Monza  (Università di Milano Bicocca) e più recentemente con l’Ospedale Manzoni di Lecco.

Lo studio è stato realizzato grazie a un finanziamento della Fondazione Alessandra Bono Onlus.

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