Aids, le nuove frontiere della terapia: lo studio “Gemini” potrebbe dare la possibilità di una vita migliore

Come fu un traguardo importante la triterapia, in grado di portare l'aspettativa di vita delle persone affette da Hiv a livelli simili a quelli di chi non ha l'infezione oggi lo potrebbe essere il regime a due farmaci
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La ricerca sul virus dell’Hiv prosegue, e lo fa, verso la riduzione del numero di farmaci da assumere ogni giorno mirando di conseguenza favorire l‘aderenza alle cure, questo grazie allo studio di nuove terapie ma di cui ancora non è possibile trarre giovamento.  Questo è il fulcro del Congresso ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, che a Milano mette in luce le nuove possibilità terapeutiche per combattere l’Hiv.

Come fu un traguardo importante la triterapia, in grado di portare l’aspettativa di vita delle persone sieropositive a livelli simili a quelli di chi non ha l’infezione. Oggi la frontiera successiva è rappresentata dal regime a due farmaci, ancora in fase di test, ma di cui risultati fanno ben sperare. Infatti in futuro si potrà andare verso l’assunzione di soli due farmaci da somministrare per via intramuscolare ogni uno o due mesi. Recentemente sono stati resi noti i risultati degli studi Gemini, sul regime a due farmaci (2DR) con dolutegravir e lamivudina, che non hanno evidenziato carenze, o limiti di sicurezza ed efficacia, rispetto alla triterapia.

Gli studi Gemini rappresentano un passo avanti importante nelle conoscenze per diversi motivi – spiega Andrea Antinori, direttore dell’UOC Immunodeficienze Virali Inmi Lazzaro Spallanzani IRCCS di Roma – Dimostrano che oggi possiamo avere efficacia sovrapponibile con la terapia a due farmaci contenente dolutegravir e lamivudina rispetto ad un trattamento a tre farmaci nei pazienti naive, anche in quelli con elevata carica virale con oltre 100.000 copie“. Inoltre altri studi, come quelli Atlas e Flair, si concentrano anche sulla terapia a lunga durata di azione. Passare da una o due compresse al giorno, a dodici o forse meno iniezioni ogni anno per tenere sotto controllo la viremia da Hiv, è più di una semplice prospettiva. “Grazie a questo approccio terapeutico – ha commentato Giuliano Rizzardini, dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano – possiamo davvero lanciare uno slogan: non puntiamo più solo sul controllo della viremia, ma possiamo davvero migliorare significativamente la qualità di vita delle persone con Hiv“.

In alcuni casi l’AIDS può diventare addirittura una malattia”rara”, con bisogni di cura che ancora non trovano risposta. Accade ai cosiddetti pazienti HTE (Highly Treatment Experienced), che si rivelano multiresistenti ai trattamenti disponibili. La giornata è stata anche l’occasione per fare il punto a riguardo.  “Esiste una popolazione molto piccola e difficilmente misurabile, quella dei pazienti HTE – spiega Antonella Castagna, dell’Ospedale San Raffaele di Milano – Alcuni dispongono oggi di risorse terapeutiche limitate a causa dei ripetuti fallimenti virologici e per questo rappresentano una sfida in termini di ricerca e terapia. Oggi ci sono due nuovi farmaci. Fostemsavir è una piccola molecola chimica, somministrabile come farmaco orale, con meccanismo d’azione innovativo che agisce impedendo il legame tra il virus Hiv e il recettore CD4 sulle cellule umane, impedendo quindi l’entrata del virus nelle cellule da infettare. L’altra opzione terapeutica già registrata negli Stati Uniti, ed in fase di valutazione in Europa, è rappresentata da un anticorpo monoclonale, ibalizumab, che similmente agisce bloccando l’entrata del virus Hiv nelle cellule“.

La terapia antiretrovirale va assunta per tutta la vita, quindi per decenni. Il tasso di esposizione è così prolungato che ridurre il regime di un farmaco, da tre a due, significa garantire meno effetti collaterali, una migliore tollerabilità e meno effetti a lungo termine. Di conseguenza anche tossicità inattese che possono verificarsi nel lungo periodo – ha spiegato Antinori – E’ importante che ciò avvenga a parità di efficacia. Per questo sono stati condotti diversi studi che hanno provato a comparare l’efficacia a lungo termine delle terapie a due farmaci. Questi regimi sono stati testati su migliaia di pazienti e hanno dato risultati estremamente interessanti. Risultati sicuri e certi. Nel prossimo congresso della IAS 2019 a Città del Messico ci saranno nuove conferme per fare diventare questo approccio un regime standard“.

Per gestire i pazienti HTE – ha detto castagna – abbiamo bisogno di un network adatto e di nuove opzioni terapeutiche con meccanismi di azione differenti. Fostensavir è un farmaco che stiamo studiando in diversi centri italiani, tra cui l’Ospedale San Raffaele. Lo utilizziamo e abbiamo raccolto risultati importanti a 48 settimane che sostengono quanto il farmaco abbia una buona attività antivirale e sia ben tollerato“. “Oggi abbiamo l’opportunità di avere un’iniezione ogni due mesi. Significa che non mi dimenticherò più di prendere i farmaci, che sarà sicuro per me stessa e per l’altro. Questa è la cosa innovativa, ma sembra che all’Aifa non interessi la qualità della vita delle persone“, afferma Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge, che commenta i risultati degli studi sul regime di terapia a due farmaci non risparmiando critiche verso chi dovrebbe occuparsi di informare sulla malattia. “La percezione dell’Hiv è cambiata perché non se ne parla più. Ci siamo dimenticati che esiste. Ancora oggi le persone che arrivano in ritardo in ospedale con una diagnosi di AIDS ritardata muoiono. Sarebbe bello riprendere campagne di informazione e di educazione nei confronti dei giovani“.

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