“Brain circulation” o “Brain drain”? La mobilità nelle scienze sociali e umane

L’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Cnr ha pubblicato uno studio sui percorsi di carriera dei ricercatori europei nelle scienze sociali e umane
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Uno studio pubblicato sulla rivista International Journal of Computational Economics and Econometrics dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ircres) ha individuato le principali motivazioni che promuovono o ostacolano la mobilità dei dottori di ricerca (Ddr) in Scienze sociali e umane. Lo studio è avvenuto tramite il dataset Pocarim (Mapping the population, careers, mobility and impacts of advanced degree graduates in the social science and humanities), finanziato dalla Commissione Europea all’interno del Settimo programma quadro, ed estende un lavoro precedentemente pubblicato su Higher Education, rivista internazionale sugli studi universitari.

Attraverso l’uso di modelli probabilistici abbiamo analizzato le traiettorie di carriera dei dottori di ricerca, basandoci su questionari somministrati a quasi 3.000 soggetti in 13 Paesi europei”, spiega Antonio Zinilli del Cnr-Ircres. “Abbiamo considerato i fattori che possono influenzare la variabilità della traiettoria di carriera in termini di mobilità settoriale che geografica. Ne emerge che la mobilità internazionale durante la carriera lavorativa è particolarmente influenzata dalle scelte fatte durante l’ultima fase universitaria e nel periodo tra il conseguimento del dottorato e la prima assunzione, fattori che influenzano anche la propensione dei ricercatori a continuare a lavorare all’estero o a tornare nel paese d’origine. Nello specifico, se un dottore di ricerca ottiene il primo lavoro all’estero avrà una maggiore probabilità di rimanervi”.

Secondo i dati analizzati, solo l’1,3% dei ricercatori in Scienze sociali e umane stranieri sceglie l’Italia per il conseguimento del dottorato, a fronte di percentuali nettamente maggiori registrate in Germania (11%), Regno Unito (7,5%) e Francia (7%), paesi che emergono come mete preferite anche dagli italiani che decidono di trasferirsi dopo il dottorato e che rimangono all’estero: il 12% resta in Inghilterra, il 10% in Germania, il 5,5% in Francia. In questi Paesi si rileva, inoltre, una maggiore stabilità contrattuale rispetto all’Italia: solo il 18% dei Ddr in queste discipline in Italia ha un contratto permanente, contro il 65% in Francia, il 63% in Gran Bretagna, il 40% in Germania.

Sono soprattutto i fattori economici a influire: “I risultati analizzati mostrano nei paesi dell’Europa nord-occidentale una correlazione fortemente positiva fra la maggiore intensità di investimento in ricerca e sviluppo e il lavoro, la permanenza e il rientro dei ricercatori”, conclude Zinilli. “La presenza di famiglie numerose è, invece, una tra le principali barriere alla mobilità internazionale e alla carriera. Più che la presenza del partner è quella di due o più figli che incide sull’eterogeneità del percorso di carriera, facendo optare per un minore grado di mobilità”.

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