La prima cura per il tumore del pancreas è una realtà: la sopravvivenza libera dalla malattia nei pazienti con mutazione dei cosiddetti geni ‘Jolie’ migliorerà. “Abbiamo abbattuto un muro nella lotta a questa neoplasia perché per tanti anni abbiamo utilizzato tutti i possibili farmaci a bersaglio molecolare che si sono affacciati nella farmacopea e che avevano dato risultati molto importanti in altri tumori, puntualmente fallendo però nei tumori del pancreas. Ora abbiamo un farmaco con un meccanismo biologico molto preciso per un gruppo di pazienti che ha una specifica alterazione molecolare“. Lo ha spiegato all’Adnkronos Salute Giampaolo Tortora, tra gli autori dello studio internazionale Polo presentato oggi al congresso Asco (American Society Clinical Onclogy) di Chicago, e direttore del Comprehensive Cancer della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.
“La terapia è in fase di registrazione ma per i tumori dell’ovaio. Per il pancreas dovremmo aspettare, lo studio Polo favorirà però i tempi di registrazione. Noi ci auguriamo – ha aggiunto Tortora – che sulla scia di questo importante lavoro scientifico il farmaco possa essere reso disponibile per le cure compassionevoli per i pazienti che hanno ottenuto una stabilizzazione della malattia dopo trattamento con un derivato del platino. Ci auguriamo perché siamo sicuri che ci sarà una forte richiesta da parte di questi pazienti che, faranno il test genetico per scoprire se hanno la mutazione Brca1 e 2, troveranno la mutazione. Parliamo di una percentuale piccola intorno a 500 l’anno”.
Ogni sono 13 mila i casi di tumore al pancreas totali “è un tumore difficile e la sopravvivenza è molto bassa per tante diverse ragioni: è asintomatico e gli esami di screening non sono efficaci, una diagnosi precoce è un evento raro. Gli operabili poi sono solo il 10-15%, abbiamo imparato che questo tumore si comporta in maniera peculiare, cresce e si difende con modalità inusuali; avendolo considerato biologicamente come gli altri ci sono stati fallimenti a catena. Oggi però si è visto che esistono diversi sottogruppi, il 7% dei pazienti ha una mutazione Brca 1 e 2, e l’approccio alla malattia sta cambiando e lo studio Polo ha aperto una nuova strada“.