Sappiamo da tempo che i pazienti con diabete di tipo 1 (T1D) manifestano infiammazione a livello dell’intestino e alterazione della barriera intestinale prima dell’insorgenza della malattia. Una ricerca pubblicata oggi su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) descrive per la prima volta il meccanismo di causa-effetto tra i due fenomeni in topi suscettibili al diabete, ovvero topi in cui il sistema immunitario è già in grado di riconoscere le cellule beta del pancreas, ma non si è ancora attivato per distruggerle e la malattia non si è dunque manifestata. In questo modello, che riproduce le condizioni dei pazienti a rischio di sviluppare T1D, il gruppo di ricercatori guidato da Marika Falcone del Diabetes Research Institute (DRI) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato come l’infiammazione intestinale e la conseguente perdita dell’integrità di barriera siano sufficienti per attivare il sistema immunitario e scatenare la malattia. A mediare tale attivazione è il microbiota, cioè l’insieme dei batteri che popolano l’intestino, che a causa della perdita dell’integrità di barriera, entra in contatto diretto con il sistema immunitario. Se confermato nell’uomo, il meccanismo suggerisce come strategia di prevenzione della malattia quella di combattere l’infiammazione intestinale e ristabilire il corretto equilibrio del microbiota intestinale.
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune in cui le cellule beta del pancreas – le uniche in grado di produrre insulina – vengono attaccate dal sistema immunitario. Senza insulina l’organismo non è in grado di metabolizzare gli zuccheri, il cui livello nel sangue supera i livelli di soglia. Ecco perché chi oggi soffre di T1D dipende da continue iniezioni di questo ormone. La malattia però non si manifesta in modo improvviso, ma segue delle fasi graduali il cui riconoscimento permette di identificare i pazienti a rischio. I soggetti più esposti sono quelli che già hanno nel sangue gli anticorpi per le cellule beta, ma non mostrano ancora i sintomi della malattia. In questi individui il sistema immunitario è già in grado di riconoscere erroneamente le isole pancreatiche, ma la reazione autoimmune non si è ancora innescata. Capire cosa accelera l’innesco e come impedirlo potrebbe aiutarci a prevenire l’insorgere della malattia.
L’unità di ricerca diretta da Marika Falcone, parte del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, studia da diversi anni il ruolo che l’ambiente intestinale e il microbiota giocano nelle malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. Diverse ricerche, condotte negli ultimi 15 anni sia sull’uomo sia su modelli animali della patologia, mostrano come l’infiammazione intestinale preceda l’insorgere del diabete e come i linfociti T che attaccano le cellule beta arrivino all’organo dopo essere passati dall’intestino, di cui portano un marker specifico. Prima d’ora però nessuno era stato in grado di dimostrare un meccanismo di causa-effetto tra l’infiammazione intestinale e l’attivazione del sistema immunitario. Il lavoro pubblicato oggi su PNAS dà uno dei primi contributi in questa direzione.
I ricercatori del San Raffaele hanno studiato un modello murino in cui oltre il 90% dei linfociti T in circolo riconosce le cellule beta e hanno dimostrato che in questi animali è stato sufficiente attivare uno stato infiammatorio a livello intestinale per scatenare la malattia. A giocare un ruolo chiave sembra essere la perdita di integrità della barriera intestinale, che è composta da un pavimento di cellule epiteliali molto compatte tra loro e da uno strato di muco, il cui ruolo è stato fino a oggi poco studiato. L’integrità della barriera è fondamentale per controllare e mediare il contatto tra ciò che si trova all’interno dell’intestino e il sistema immunitario.
«In questo contesto infiammatorio, la miccia per l’innesco della risposta autoimmune sembra proprio essere il microbiota – l’insieme dei batteri che vivono nell’intestino e che entrano in contatto diretto con il sistema immunitario quando la barriera intestinale è compromessa» spiega Marika Falcone. «Nei topi in cui abbiamo eliminato i batteri, infatti, l’infiammazione non è più stata sufficiente a scatenare la malattia».
Questo non significa che il problema sia la presenza del microbiota, è anzi vero il contrario: avere una flora batterica intestinale sana è l’unico modo per evitare l’insorgere di stati infiammatori e garantire l’integrità della barriera intestinale. «Più studiamo il ruolo giocato dai batteri nel funzionamento del nostro organismo più ci rendiamo conto che sono ospiti di cui avere grande cura, non solo perché sono essenziali al nostro benessere, ma perché se trascurati possono al contrario avere effetti negativi su diverse patologie in cui entra in gioco il sistema immunitario» osserva Marika Falcone.
Sei il meccanismo di causa-effetto osservato dai ricercatori dovesse essere valido anche negli esseri umani, preservare una barriera intestinale sana – attraverso una modulazione della dieta e delle popolazioni batteriche dell’intestino – potrebbe costituire una strategia di prevenzione del diabete di tipo 1 nei soggetti a rischio.