Gli anatomo-patologi: “Così scopriamo le mutazioni rare dei tumori”

"Sono circa 200 le diverse forme di tumore e nel 2018 in Italia sono stati stimati 373.300 nuovi casi"
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Permette di smascherare, all’interno dei tumori, mutazioni genetiche rare che oggi, nella maggior parte dei casi, non vengono individuate. Si chiama “Progetto Vita”, è il primo al mondo di questo tipo e coinvolge 10 centri pilota di anatomia patologica su tutto il territorio nazionale: è un nuovo approccio tecnologico di analisi molecolare e la sua completa attivazione consentirà di selezionare per terapie mirate più di 10.000 casi di cancro ogni anno in Italia, caratterizzati da alterazioni rare. Il progetto è presentato oggi a Firenze al V Incontro Nazionale del Gruppo Italiano di Patologia Molecolare e Medicina Predittiva, con la partecipazione di circa 150 esperti, organizzato dalla Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPEC-IAP). “È il primo progetto di screening delle mutazioni rare – spiega il Dott. Mauro Truini, Presidente Nazionale SIAPEC-IAP -, che dovranno poi essere validate tramite la rete nazionale SIAPEC NGS (Next-Generation Sequencing), che include 20 strutture e utilizza metodi di sequenziamento dei geni di nuova generazione, meno costosi e più veloci di quelli tradizionali. Ecco perché il ‘Progetto Vita’ è stato inserito all’interno della rete NGS, che da anni si sta impegnando per diffondere nuove tecnologie per caratterizzare al meglio le neoplasie dal punto di vista molecolare. Le mutazioni rare sono presenti soprattutto in persone giovani, under 50. Questi pazienti potranno così beneficiare di trattamenti a bersaglio molecolare efficaci e già disponibili”.
Sono circa 200 le diverse forme di tumore e nel 2018 in Italia sono stati stimati 373.300 nuovi casi – afferma il Prof. Antonio Marchetti, coordinatore della Rete NGS e del ‘Progetto Vita’, Ordinario di anatomia patologica, Direttore del Centro di Medicina Molecolare Predittiva dell’Università di Chieti e membro del Consiglio Direttivo SIAPEC-IAP -, per cui il numero globale delle alterazioni rare non è così basso, ma è molto difficile scoprirle. Grazie all’approccio utilizzato nel ‘Progetto vita’, siamo in grado di superare questi ostacoli e, dopo una prima fase pilota, l’iniziativa verrà estesa su scala nazionale. Perché il paziente possa ricevere una terapia di precisione sono necessarie una diagnosi accurata e una definizione del profilo molecolare della malattia con test specifici. La diagnosi può essere garantita attraverso il lavoro di laboratori di qualità in grado di fornire risultati standardizzati che supportino il lavoro dei clinici. Questi pazienti sono candidabili a un trattamento definito ‘tumore agnostico’, perché non è legato all’organo di insorgenza della neoplasia ma alla mutazione genetica individuata”.
Novità importanti anche sul fronte del monitoraggio della malattia grazie al prelievo di sangue. “La biopsia su tessuto rappresenta un’immagine istantanea, limitata nel tempo e nello spazio, ma il tumore non rimane uguale, si evolve acquisendo nuove mutazioni che lo possono rendere ancora più aggressivo – sottolinea il Prof. Antonio Russo, Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Palermo, Direttore dell’Unità Operativa Complessa del Policlinico Universitario di Palermo e membro del Consiglio Direttivo Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. È quindi fondamentale sviluppare nuove tecniche, che consentano un miglior follow-up dei pazienti. La biopsia liquida rappresenta una valida opzione: è una procedura minimamente invasiva che permette di studiare alcune componenti tumorali (Cellule Tumorali Circolanti e il DNA tumorale circolante) direttamente da un semplice prelievo di sangue. Negli ultimi anni, la ricerca in quest’ambito ha subito un incremento esponenziale e l’interesse della comunità scientifica è in continuo aumento. La biopsia liquida oggi è utilizzata nella pratica clinica nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, dopo la diagnosi, per individuare la mutazione del gene EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor), ma sta aumentando il peso di questa tecnica per controllare nel tempo l’evoluzione della malattia, cioè per capire se il paziente risponde alla terapia estendendone così l’impiego a diversi tipi di neoplasie. Questo utilizzo della biopsia liquida, che consente il monitoraggio costante e non invasivo della patologia, è ristretto per ora ad alcuni centri di riferimento e ne rappresenta il futuro impiego su larga scala”.
Oggi il monitoraggio viene essenzialmente effettuato attraverso metodiche di tipo radiologico, quali TAC o PET, che di fatto forniscono soltanto informazioni sull’andamento della malattia in termini di cambiamenti dimensionali e/o di attività – spiega la Prof.ssa Silvia Novello, Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Torino, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Oncologia Toracica del San Luigi di Orbassano e membro del Consiglio Direttivo Nazionale AIOM -. La ripetizione della biopsia su tessuto è d’altro canto un esame invasivo, non sempre praticabile, e comunque impattante sulla qualità di vita del malato. Nel tumore del polmone con alterazione molecolare, è possibile individuare, anche in anticipo, la resistenza al trattamento mediante la valutazione dell’alterazione stessa nel plasma, prima e durante la terapia. Se il trattamento è efficace, l’alterazione si modifica. La progressione della malattia può essere osservata radiologicamente, ma in maniera più precisa è individuabile nel sangue a livello molecolare e anche anticipatamente rispetto alle modifiche osservabili con TAC e PET”. “Inoltre – continua la Prof.ssa Novello – prospettive importanti si stanno aprendo per l’uso della biopsia liquida come strumento di screening per la diagnosi precoce associandola alla TAC spirale. Va infatti ricordato che circa il 60-70% delle neoplasie polmonari è diagnosticato in fase avanzata di malattia”.
Al convegno di Firenze sono presentate anche le raccomandazioni per la caratterizzazione molecolare del carcinoma del polmone (41.500 nuovi casi in Italia nel 2018). “Sono state stilate da 10 esperti – sottolinea il Dott. Truini. Abbiamo considerato i problemi morfologici da affrontare, in particolare la necessità di utilizzare la minor quantità possibile di tessuto perché nella maggior parte dei casi abbiamo a disposizione solo frammenti molto piccoli, da gestire al meglio. In questa neoplasia, un biomarcatore, PD-L1, si è rivelato importante per il trattamento con l’immunoterapia. Finora mancavano a livello internazionale linee guida specifiche su PD-L1. Siamo partiti da questo ‘vuoto’ e abbiamo definito un algoritmo generale diagnostico dedicato al paziente con tumore polmonare, dove PD-L1 si inserisce in un percorso diagnostico complesso che vede la necessità di determinare anche altre alterazioni molecolari, come la mutazione di EGFR e la traslocazione di ALK o di ROS1. Queste raccomandazioni avranno una ricaduta sul lavoro dei gruppi multidisciplinari, indispensabili per il trattamento dei tumori e che includono, fra gli altri, il chirurgo, lo pneumologo, l’anatomo-patologo, l’oncologo medico, il farmacologo e il biologo molecolare”.
Le banche dati costituiscono il presupposto dell’oncologia di precisione perché permettono agli oncologi di disporre di più conoscenze e di assumere le decisioni migliori per i pazienti. “All’interno della rete NGS, abbiamo realizzato il primo database nazionale sulla mutazione del gene BRCA nel tumore dell’ovaio – conclude il Prof. Marchetti . Nell’ambito dei 20 centri della rete NGS, sono state coinvolte 6 strutture (tre Università e tre Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico). Il database è stato validato da bioinformatici di livello internazionale: ad oggi, abbiamo raccolto circa 300 casi di alterazioni, che saranno analizzate dettagliatamente”.

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