“In Italia si contano ogni anno tra i 12.000 e i 15.000 nuovi tumori della tiroide. E vengono effettuati circa 40.000 interventi di tiroidectomia l’anno“. Lo ricorda Celestino Pio Lombardi, direttore dell’Unità di chirurgia endocrina della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma – in occasione del congresso mondiale sui tumori della tiroide, che si è chiuso sabato nella Capitale. Lombardi sottolinea però che “non è possibile adottare lo stessa terapia per tutti i pazienti. La chirurgia personalizzata è dunque un’ulteriore evoluzione della conoscenza della patologia, è un approfondimento caso per caso. Ogni paziente è diverso dall’altro ed è necessario adeguare il trattamento, specificando la storia del singolo paziente“.
Da qui “l’importanza delle linee guida, che nascono dalla necessità di mettere un po’ di ordine in un mondo che è abbastanza vario, basti pensare che in Italia solamente il 5% dei 1.700 centri che fanno chirurgia della tiroide affronta più di 100 casi l’anno. Cento casi l’anno vengono considerati il numero minimo indispensabile per garantire una qualità al paziente, nel senso che si è abbastanza abituati a fare quel tipo di intervento, che si ha a disposizione una serie di metodiche, che si conosce l’intervento e lo si può insegnare a quelli più giovani. Le linee guida – aggiunge – servono a capire chi può fare l’intervento e in che modo, qual è l’approccio migliore, quali sono le complicanze. Non sono degli ordini assoluti ma rappresentano delle indicazioni che indirizzano chi non è ancora esperto, con l’obiettivo di avere standard sempre più alti e sempre migliori“.
Lombardi si sofferma poi su cosa è cambiato nella chirurgia della tiroide: “È cambiato molto in questi ultimi anni. Una volta l’intervento alla tiroide era un intervento mortale nel 50% dei casi, negli ultimi anni e nelle ultime decadi, in particolare, c’è stata un’importante evoluzione. Non esiste quasi più il problema della mortalità e le complicanze si sono estremamente ridotte, questo grazie sicuramente ad una maggiore capacità diagnostica. Si diagnosticano i tumori in fase molto più precoce e quindi sono molto più piccoli; gli interventi inoltre sono sempre più accurati e mini-invasivi. Si effettuano piccole incisioni nel rispetto assoluto dell’anatomia e conseguentemente della fisiologia del paziente”.
Secondo Lombardi, l’impatto delle nuove tecnologie è stato determinante: “Pensiamo ad esempio alla tecnologia degli ultrasuoni e della radiofrequenza, ai bisturi che consentono di tagliare e coagulare nello stesso tempo, riducendo l’enorme rischio di emorragie che questi interventi hanno, alla tecnologia in termini di ottiche, video-assistenza e accessi remoti. Abbiamo inoltre la possibilità di controllare il nervo delle corde vocali durante l’intervento grazie ad un’emostasi più accurata dovuta a farmaci e gel. Non bisogna dimenticare però – conclude – il ruolo essenziale del chirurgo, la sua preparazione, la sua competenza e la sua dedizione perché è necessario che un esperto sappia utilizzare tutti questi strumenti“.