“Le persone ad alto rischio ereditario” di tumori del seno e dell’ovaio per la presenza di una mutazione nei geni ‘Jolie’, Brca1 e 2, che si scopre facendo il test genetico’ad hoc’, “non possono essere lasciate sole ed essere costrette a investire di tasca propria sul percorso di prevenzione”.
Lo afferma Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, sulla base dei risultati dell’indagine ‘Test genetici: tra prevenzione e diritto alle cure. Focus Test Brca’, promossa da Cittadinanzattiva stessa. “Dobbiamo promuovere una sinergica collaborazione tra specialisti dei centri e quelli operanti sul territorio – sottolinea – ponendo un’attenzione particolare al ruolo dei medici di medicina generale.
E’ necessario che ogni Regione individui centri di riferimento per l’esecuzione e l’interpretazione del test Brca, ma soprattutto, dopo aver eseguito i test, è indispensabile prevedere una specifica presa in carico dei pazienti risultati positivi. E’ arrivato inoltre il momento di riconoscere formalmente le linee guida delle società scientifiche ed esplicitare i criteri di accesso al test Brca e le tempistiche in modo da assicurare equità e uniformità di opportunità ai cittadini in tutte le Regioni”.
Non solo. “Allo stesso tempo, è necessario fare in modo che il test Brca sia esteso ai familiari delle persone risultate positive (uomini compresi) e che sia garantito l’accesso gratuito alle visite e agli esami consigliati a tutti i soggetti sani che presentano una variante Brca”, prosegue Gaudioso, secondo cui “occorre rimodulare i Percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali (Pdta) per le persone ad alto rischio genetico, affinché prevedano al loro interno una vera strategia di presa in carico allargata non solo al singolo, ma all’intera famiglia”.
L’indagine ha interessato i professionisti sanitari di tre regioni: Campania, Piemonte e Sicilia, per conoscere la loro esperienza su come viene erogato il test Brca. I dati saranno presentati in tre eventi regionali: il 14 giugno a Napoli, il 1 luglio a Palermo e il 25 settembre a Torino.
L’indagine completa è disponibile sul sito web di Cittadinanzattiva. All’iniziativa hanno partecipato associazioni di pazienti (Abrcadabra, Acto Onlus, Europa donna), società scientifiche (Aiom, Cipomo, Siapec, Sigu, Sipo) e un panel di esperti della materia. Ecco i principali risultati dell’indagine nazionale. Le persone più frequentemente sottoposte al test Brca hanno 36-49 anni (67%). Ogni centro esegue mediamente 51, uno test a scopo diagnostico e 21,4 per l’indirizzo terapeutico. Ai familiari di persone risultate positive al test diagnostico viene proposto il test nell’83% dei casi, mentre è esteso anche ai familiari “molto di frequente” in un caso su due.
A richiederlo è l’oncologo (71%), seguito dal genetista medico (46%) e dal ginecologo con competenze oncologiche (29%). La consulenza genetica oncologica è offerta dal 54% dei centri, e di questi il 92% garantisce la presa in carico completa della persona fin dalla fase pre-test. Dall’indagine emerge come ci sia “molto da lavorare sulle informazioni fornite alla persona che risultano positive al test Brca: ad esempio, i colloqui sono previsti in 7 casi su 10, ma l’offerta non è ‘sistematica’ perché non obbligatoria e nel 62% può dipendere dalla richiesta spontanea del soggetto”.
In un centro su 4 – prosegue l’indagine – non sono attive misure di sorveglianza clinica e strumentale secondo le linee guida regionali, nazionali o internazionali e in multidisciplinarietà. Nei centri dove le misure esistono, solamente il 58% prevede un percorso per la gestione di persone con predisposizione genetica ai tumori della mammella e dell’ovaio, tuttavia nel 44% tali percorsi non sono sempre formalizzati.
Anche i centri che presentano un documento formalizzato non sempre presentano Pdta che definiscono in maniera esplicita gli elementi prioritari per la gestione e la presa in carico delle persone. Il 75% dei centri offre strategie per gestire il rischio, ma in circa il 67% dei casi sono completamente a carico della persona ‘sana’, a cui è fornita informazione sui costi. Il dato presenta zone grigie: per la chirurgia di riduzione del rischio sembra assente una specifica tariffa codificata a livello regionale per le persone con un alto rischio genetico. Il 25% dei centri possiede un laboratorio interno alla struttura; il 33% si avvale di un laboratorio esterno con sede in provincia, il 50% fa riferimento a un laboratorio regionale. Circa il 17% dei centri fa riferimento a un laboratorio fuori regione.
Circa il 13% delle persone alle quali è stato diagnosticato il tumore (mammella o ovaio) accede al test Brca entro le 24 ore successive alla richiesta e, nel 38% dei casi, il referto arriva oltre 2 mesi dopo. Tra i soggetti sani, il 33% accede al test entro 7 giorni, ma nel 46% la refertazione avviene più di 2 mesi dopo. A questi tempi vanno aggiunti quelli per la consegna del risultato: nel 21% dei casi, se il test è positivo, si attende almeno un mese; solo il 42% riceve il risultato entro qualche giorno.