Forse non tutti sanno che la sera del 20 luglio 1969, mentre molti italiani sono a casa guardando la televisione, sulla collina di Arcetri, a Firenze, un gruppo di tecnici e astronomi si affaccenda alla luce di una Luna che ancora non ha raggiunto il primo quarto. Come scrive Niccolò Bucciantini di Media Inaf, sono al lavoro intorno al radiotelescopio che in quei giorni fa bella mostra di sé sulla terrazza davanti all’Osservatorio, e che prima di essere definitivamente dismesso troverà ben più prestigiosa collocazione sul retro delle banconote da 2000 lire dedicate a Galileo.
Quel radiotelescopio è uno dei fiori all’occhiello degli strumenti costruiti dall’Osservatorio, e viene abitualmente utilizzato per studiare l’emissione solare. Quella sera, però, il suo obbiettivo è un altro. Sotto la supervisione del professor Guglielmo Righini, l’allora direttore dell’Osservatorio, il radiotelescopio è stato modificato, con aggiunta di un nuovo ricevitore, costruito proprio per quell’occasione: perché questa volta non è un fenomeno naturale a interessare gli astronomi, ma uno artificiale.
Quattro giorni prima, alle 3:32 del pomeriggio del 16 luglio – da quelle stesse paludi della Florida meridionale in cui un ispirato Giulio Verne aveva collocato il suo grande cannone – tre navigatori, chiusi in un piccolo modulo, posto in cima a un moderno Ippogrifo di acciaio alto più di 100 metri, avevano cominciato un lungo viaggio, verso un modo tanto familiare quanto sconosciuto. Così presente a tutti, eppure mai toccato prima. Un viaggio che raggiunge il suo scopo proprio in quella sera del 20.
Alle 22:17 del 20 luglio 1969, l’Aquila tocca il suo obiettivo, e con delicatezza si posa sulla superficie della Luna, ricoperta di sottile regolite. Dopo alcune ore, necessarie per fare controlli e verifiche, alle 2:51 del 21 luglio, Neil Armstrong posa il primo piede sul nostro satellite. È il primo essere vivente a farlo. Dopo più di quattro miliardi di anni, la Terra conquista la Luna. Il sogno millenario di scrittori, artisti e poeti, è realtà.
Per tutta la notte da Arcetri i ricercatori seguono in diretta le fasi dell’avvicinamento, e dell’allunaggio, ascoltando i messaggi inviati direttamente dalla Luna, li captano e decodificano. Ascoltano silenziosi gli scambi e le conversazioni verso le basi della Nasa a terra. Il professor Righini purtroppo non è con loro. Troppo famoso e importante per essere lasciato quella sera insieme ai sui amici e colleghi, si trova in uno studio televisivo, dove commenta le immagini che arrivano direttamente dagli Stati Uniti. Forse esteticamente più impressionanti dei semplici segnali radio che si ascoltano sulle colline di Firenze, ma di sicuro anche meno cariche di quell’emozione che si prova spesso solo nel piacere della condivisione con amici e colleghi.
Non molto rimane oggi di quelle vicende, se non la memoria di pochi che, allora molto giovani, parteciparono a quell’evento, e di altri che negli anni hanno cercato di conservarne il ricordo. Il radiotelescopio non c’è più, ma all’Osservatorio astronomico di Arcetri – oggi parte dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica – ancora si conserva gelosamente il ricevitore (vedi foto qui a fianco), che fu costruito proprio per quello scopo. Da qualche parte si conservano anche i nastri della registrazione originale dello sbarco, prova indipendente che veramente sulla Luna ci siamo stati. Purtroppo, affidati alle cure dell’Iroe (Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche), durante uno dei molti traslochi degli ultimi 50 anni, quando ormai sembrava che i viaggi sulla Luna fossero diventati quasi più banali di una crociera estiva, si sono persi.
Oggi sono chiusi forse in qualche vecchio scatolone senza nome, e attendono solo un moderno Indiana Jones che li riscopra.