Cambiamenti climatici, IPCC: “È come se stessimo raggiungendo un punto di rottura con la terra, pericolo di forti carestie e aumento della migrazione”

Mentre il riscaldamento dell’atmosfera intensifica siccità, alluvioni, ondate di caldo, incendi e altri modelli meteorologici nel mondo, accelera anche il tasso di perdita del suolo e di degrado della terra: le conclusioni del rapporto IPCC
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L’acqua e la terra del mondo vengono sfruttate a “ritmi senza precedenti”, avvisa un nuovo rapporto delle Nazioni Unite, che combinati con i cambiamenti climatici stanno mettendo una terribile pressione sulla capacità dell’umanità di nutrirsi. Il rapporto, preparato da oltre 100 esperti di 52 Paesi e rilasciato in forma sintetica a Ginevra oggi, ha svelato che la finestra per affrontare la minaccia si sta chiudendo rapidamente. Mezzo miliardo di persone vive già in posti che si stanno trasformando in deserti e il suolo si perde tra le 10 e le 100 volte più rapidamente di quanto si stia formando, secondo il rapporto.

I cambiamenti climatici renderanno queste minacce persino peggiori, con alluvioni, siccità, tempeste e altri tipi di eventi meteo estremi che minacciano di alterare, e nel corso del tempo ridurre, le forniture alimentari mondiali. Già oltre il 10% della popolazione mondiale rimane malnutrita e alcuni autori del rapporto hanno avvisato che le carestie potrebbero portare ad un aumento della migrazione transfrontaliera. Un pericolo particolare è che le crisi alimentari possano svilupparsi su diversi continenti allo stesso tempo, ha detto Cynthia Rosenzweig, scienziata ricercatrice del Goddard Institute for Space Studies della NASA, tra gli autori del rapporto.

Il rapporto ha anche offerto una certa speranza, esponendo dei percorsi per affrontare l’incombente crisi alimentare che però richiederebbero una grande rivalutazione dell’uso della terra e dell’agricoltura in tutto il mondo, così come del comportamento dei consumatori. Le proposte includono aumentare la produttività della terra, sprecare meno cibo e convincere più persone ad abbandonare diete a base di carne.

La sintesi è stata rilasciata dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un gruppo internazionale di scienziati convocato dalle Nazioni Unite per mettere insieme un’ampia gamma di ricerche esistenti per aiutare i governi a comprendere i cambiamenti climatici e a prendere decisioni. L’IPCC sta scrivendo una serie di rapporti sul clima, incluso quello dell’anno scorso sulle disastrose conseguenze dell’aumento della temperatura globale di 1,5°C sopra i livelli preindustriali.

LaPresse/PA

Alcuni autori suggeriscono anche che le carestie probabilmente colpiranno le parti più povere del mondo molto più di quelle ricche. Questo potrebbe aumentare un flusso di immigrazione che sta già ridefinendo le politiche in Europa, Nord America e altri parti del mondo. “Le vite delle persone saranno influenzate da una grande pressione per la migrazione. Le persone non rimangono a morire dove sono. Le persone migrano”, ha detto Pete Smith, professore di scienze del suolo e delle piante all’University of Aberdeen, tra gli autori del rapporto. Tra il 2010 e il 2015, il numero di migranti di El Salvador, Guatemala e Honduras al confine statunitense con il Messico è aumentato di 5 volte, coincidendo con un periodo secco che ha lasciato molti senza cibo a sufficienza ed è stato così insolito da portare gli scienziati a suggerire che sia un segnale dei cambiamenti climatici.

Salvo azioni su ampia scala, secondo il rapporto, i cambiamenti climatici accelereranno il pericolo di forti carestie. Mentre il riscaldamento dell’atmosfera intensifica siccità, alluvioni, ondate di caldo, incendi e altri modelli meteorologici nel mondo, accelera anche il tasso di perdita del suolo e di degrado della terra, conclude il rapporto. Maggiori concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera ridurranno anche la qualità nutrizionale del cibo, mentre le temperature in aumento riducono i raccolti e danneggiano il bestiame. Questi cambiamenti minacciano di superare la capacità dell’industria agricola di adattarsi. In alcuni casi, sostiene il rapporto, i cambiamenti climatici stanno aumentando la produzione alimentare perché, per esempio, le temperature più alte significheranno maggiori raccolti da alcune coltivazioni alle latitudini più alte. Ma nel complesso, il rapporto svela che i cambiamenti climatici stanno già danneggiando la disponibilità di cibo a causa della riduzione dei raccolti e della perdita di terra per erosione, desertificazione e innalzamento dei mari, tra le altre cose.

In generale, se le emissioni di gas serra continueranno a salire, lo faranno anche i costi del cibo, secondo il rapporto, influenzando le persone di tutto il mondo. “È come se stessimo raggiungendo un punto di rottura con la terra stessa e la sua capacità di produrre cibo e sostenerci”, ha detto Aditi Sen, consulente politico sui cambiamenti climatici di Oxfam America, organizzazione contro la povertà.

Inoltre, sostengono i ricercatori, mentre i cambiamenti climatici rendono l’agricoltura più difficile, l’agricoltura stessa sta aggravando i cambiamenti climatici. Il rapporto dice che le attività come il drenaggio delle zone umide (come successo in Indonesia e Malesia per creare piantagioni di olio di palma) è particolarmente dannoso. Quando drenate, le torbiere, che contengono tra 530 e 694 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in tutto il mondo, rilasciano l’anidride carbonica nell’atmosfera. La CO? è un importante gas serra, che intrappola il calore del sole e riscalda il pianeta. Ogni 2,5 acri di torbiere rilasciano la quantità di anidride carbonica equivalente a quella della combustione di oltre 22.000 litri di benzina. E le emissioni di CO? continuano a lungo dopo che le torbiere sono drenate. Dei 5 gigatoni di emissioni di gas serra che vengono rilasciate ogni anno dalla deforestazione e da altri cambiamenti nell’uso della terra, “un gigatone proviene dal degrado in corso di torbiere già drenate”, ha spiegato Tim Searchinger del World Resource Institute, un think tank per l‘ambiente.

Anche il bestiame è un importante produttore di metano, un altro potente gas serra, e un aumento nella domanda globale di manzo e altre carni ha alimentato il loro numero e aumentato la deforestazione in foreste importantissime, come l’Amazzonia. Dal 1961, le emissioni di metano dal bestiame ruminante, che include mucche, pecore, bufali e capre, sono aumentate notevolmente, secondo il rapporto. E ogni anno, la quantità di superficie forestale che viene distrutta, la maggior parte della quale per la richiesta di pascoli per il bestiame, rilascia emissioni equivalenti a quelle di 600 milioni di auto.

Nel complesso, il rapporto dice che c’è ancora tempo per affrontare le minacce rendendo il sistema alimentare più efficiente. Gli autori chiedono cambiamenti nella produzione e distribuzione del cibo, incluse una migliore gestione del suolo, la diversificazione delle colture e meno restrizioni sul commercio. Chiedono anche un cambiamento nel comportamento dei consumatori, facendo notare che almeno ¼ di tutto il cibo del mondo viene sprecato.

Ma proteggere le forniture alimentari e ridurre le emissioni di gas serra possono anche entrare in conflitto tra di loro. Per esempio, il diffuso uso di strategie come la bioenergia (coltivare grano per produrre etanolo) potrebbe portare alla creazione di nuovi deserti o altro degrado della terra, sostengono gli autori. La stessa cosa vale per l’idea di piantare molti alberi (spesso citata come potente strategia per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera), che potrebbe spingere le coltivazioni e il bestiame su terre meno produttive. Piantare il maggior numero di alberi possibile ridurrebbe la quantità di gas serra nell’atmosfera di circa 9 gigatoni ogni anno, spiega Pamela McElwee, professore di ecologia umana alla Rutgers University, tra gli autori del rapporto. Ma aumenterebbe anche i prezzi del cibo dell’80% entro il 2050.

Impedire che le temperature salgano di oltre 1,5°C richiederà sia piantare alberi che una sostanziale bioenergia per aiutare a ridurre l’utilizzo di combustibili fossili, svela il rapporto. E se le temperature aumentano oltre tale soglia, anche la pressione sulla produzione alimentare aumenterà, creando un circolo vizioso. “Oltre i 2°C di riscaldamento globale, ci potrebbe essere un aumento di 100 milioni o più di persone a rischio fame. Dobbiamo agire velocemente”, ha detto Edouard Davin, ricercatore di ETH Zurich, tar gli autori del rapporto.

Per la prima volta, l’IPCC ha citato le popolazioni indigene e la loro conoscenza della gestione della terra come risorse da sfruttare. “Le pratiche agricole che includono la conoscenza locale e indigena possono contribuire a superare le sfide dei cambiamenti climatici, della sicurezza alimentare, della conservazione della biodiversità e a combattere la desertificazione e il degrado della terra”, hanno scritto gli autori. In questo momento, le popolazioni indigene sono minacciate. Secondo un rapporto rilasciato dall’organizzazione non profit Global Witness, una media di 3 persone è stata uccisa ogni settimana per difendere la loro terra nel 2018, con oltre la metà uccise in America Latina.

In generale, il rapporto dice che più i decisori politici aspetteranno, più difficile sarà impedire una crisi globale. “Agire ora potrebbe evitare o ridurre i rischi e le perdite e generare benefici per la società”, secondo gli autori. Ma aspettando per ridurre le emissioni, si rischia una “perdita irreversibile nelle funzioni dell’ecosistema della terra e nei servizi richiesti per il cibo, la sanità, gli insediamenti abitabili e la produzione”.

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