La vitamina D è una vitamina liposolubile, viene quindi accumulata nel fegato e non è dunque necessario assumerla con regolarità, attraverso i cibi, dal momento che il corpo la rilascia a piccole dosi quando il suo utilizzo diventa necessario.
La vitamina D si presenta sotto due forme: l’ergocalciferolo, che viene assunto con il cibo, e il colecalciferolo, che viene sintetizzato dal nostro organismo.
Vitamina D, a cosa serve
La vitamina D – spiega in un approfondimento l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro – non serve solo a fissare il calcio nelle ossa, una funzione che pure è fondamentale per prevenire il rachitismo nei bambini e l’osteoporosi negli anziani. Nella sua forma attivata, la vitamina agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi e ha un’azione modulante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. Una sua carenza è stata associata a diversi tipi di malattie, dal diabete all’infarto, dall‘Alzheimer all’asma o alla sclerosi multipla.
La Vitamina D contro i tumori
In studi di laboratorio la vitamina D ha dimostrato di svolgere attività potenzialmente in grado di prevenire o rallentare lo sviluppo del cancro: infatti frena la crescita delle cellule, ne favorisce la differenziazione e la morte programmata (apoptosi), e riduce la formazione di nuovi vasi (angiogenesi).
I primi studi epidemiologici, dopo aver osservato un minor rischio di tumori diversi da quelli della pelle nelle popolazioni più esposte al sole rispetto a quelle che vivono in Paesi con minore irradiazione solare, avevano suggerito un ruolo protettivo della vitamina D. Ricerche successive, prosegue l’AIRC, che hanno indagato direttamente i livelli di vitamina del sangue, hanno fornito risultati incerti.
Il grande studio europeo EPIC – alla cui realizzazione hanno partecipato diversi ricercatori sostenuti da AIRC – ha mostrato che le persone con i più alti livelli di questa vitamina nel sangue hanno un rischio di cancro al colon inferiore di circa il 40 per cento rispetto a chi invece ne è carente. Un legame simile sembra esistere anche per altri tipi di tumori. Secondo i risultati di altre ricerche, come la Women’s Health Initiative statunitense, però, l’assunzione di supplementi a base di vitamina D non sembra conferire alcun effetto protettivo. Si può quindi ipotizzare che alti livelli di questa vitamina nel sangue non siano direttamente responsabili del minor rischio, ma semplicemente rispecchino abitudini più sane a cui va attribuito il merito di proteggere l’individuo dal cancro. Altri studi sono in corso per cercare di chiarire questi fenomeni.
Come si forma la Vitamina D
Un terzo del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione. I cibi in cui se ne trova di più – oltre a quelli che ne sono arricchiti a livello industriale, come molti cereali per la prima colazione – sono i pesci grassi (come salmone, sgombro e aringa), il tuorlo d’uovo e il fegato.
Tutto il resto si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB. Una volta prodotta nella cute o assorbita a livello intestinale, la vitamina D passa nel sangue. Qui una proteinaspecifica la trasporta fino al fegato e al rene, dove viene attivata.
Vitamina D, come funziona?
Per quanto se ne conoscano le proprietà antinfiammatorie e l’azione sul sistema immunitario, non è ancora ben chiaro come la vitamina D agisca a livello dei diversi sistemi.
Soprattutto, spiega l’AIRC, quello che ancora bisogna capire è se sia proprio la sostanza stessa a produrre direttamente tanti benefici o se, piuttosto, una sua alta concentrazione nel sangue sia soltanto un indicatore indiretto di abitudini più sane, come un’alimentazione più salutare, tempo trascorso all’aria aperta, maggiore attività fisica e minore indice di massa corporea (BMI).
Vitamina D, quanta ce ne vuole
Non esistono parametri assoluti: i livelli minimi di concentrazione di vitamina D nel sangue raccomandati dall’Institute of Medicine statunitense sono di 20 nanomoli/litro, ma la maggior parte degli esperti consiglia di non scendere sotto i 30 e altri suggeriscono che si possa già parlare di quantità insufficiente sotto i 50. In genere, per assicurarsi l’apporto necessario, è sufficiente trascorrere più tempo all’aria aperta.
Tra i neonati e gli anziani, però, che spesso escono poco di casa e si espongono meno dei giovani al sole, un deficit è abbastanza comune. Per questo nel primo anno di vita si somministrano gocce di vitamina D e molti medici ritengono opportuno prescrivere supplementi anche a tutti i loro pazienti oltre una certa età. Tuttavia è importante guardarsi dagli eccessi perché a dosi troppo elevate la vitamina D può essere tossica. Generalmente ciò avviene allorché i livelli circolanti superano i 100 ng/ml. Per evitare ciò, è consigliabile non superare un’assunzione giornaliera di 50 ?g/die.
Vitamina D, conseguenze della carenza
Per numerose ragioni è quindi fondamentale assumerla sia attraverso l’alimentazione, sia attraverso l’esposizione al sole. La carenza di vitamina D mette a rischio soprattutto soggetti come donne in gravidanza e allattamento, anziani e bambini, ma è un fenomeno da non sottovalutare in generale, in quanto potrebbe causare diverse conseguenze.
Ecco le principali:
- Dolori alle ossa e debolezza muscolare: si tratta di sintomi banali, che tuttavia possono derivare sia da una semplice influenza che da motivazioni più serie, come per esempio la carenza di vitamina D. In particolare negli adulti la carenza della vitamina D può causare la deformazione delle ossa, l’inarcamento anomale degli arti inferiori e della colonna vertebrale;
- Osteoporosi: la carenza di vitamina D aggrava la patologia, per cui le ossa risultano fragili e maggiormente a rischio in caso di fratture pericolose;
- Depressione: la vitamina D stimola la serotonina, l’ormone della felicità, per cui una carenza potrebbe generare anche umore altalenante e tristezza immotivata;
- Problemi cardiaci: la carenza di vitamina D comporta un maggiore rischio di sviluppare una patologia delle arterie coronariche, la coronaropatia;
- Problemi cognitivi: la vitamina D si tende ad assimilare di meno con il passare degli anni, ma una carenza può causare, negli anziani, disturbi alla sfera cognitiva e deficit della memoria.
La vitamina D, sintetizzata principalmente dalla cute attraverso l’esposizione solare, è essenziale per la salute delle ossa e aiuta l’organismo ad assorbire il calcio. Una sua carenza può quindi comportare una ridotta mineralizzazione ossea e l’insorgenza di osteoporosi e rachitismo.
Vitamina D, sole e rischi
Maurizio Nudo, responsabile di Chirurgia dermatologica e laserterapia dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata-IRCCS (IDI), invita a non demonizzare il sole estivo, che fa bene, soprattutto alle ossa, ma allo stesso tempo mette in guardia dai rischi in agguato in mancanza di un’adeguata protezione, a partire dalle scottature.
“Prendere il sole fa sicuramente bene, a partire da bambini ed anziani, e questo perché l’esposizione al sole libera la vitamina D insita nel nostro organismo; una vitamina fondamentale perché stimola l’accrescimento delle ossa,” dichiara l’esperto.
Mai dimenticare però le cautele fondamentali per evitare spiacevoli conseguenze, soprattutto conseguenti a un’eccessiva esposizione senza un’adeguata protezione attraverso filtri o creme.
Carenza di vitamina D: i sintomi
La carenza di vitamina D può essere verificata con delle semplici analisi del sangue, tuttavia, alcuni sintomi potrebbero indicare un deficit. Eccone alcuni:
- Sudore alla testa e alle mani – Si tratta di uno dei principali sintomi precoci di deficit di vitamina D.
- Stanchezza, debolezza e depressione – Nel 2006 uno studio ha valutato gli effetti della vitamina D sulla salute mentale. La ricerca ha interessato 80 pazienti: è stato osservato che coloro che avevano bassi livelli di vitamina D erano 11 volte più inclini a manifestare depressione. Questo poiché la serotonina, che è definita l’ormone del buonumore, aumenta con l’esposizione alla luce solare.
- Problemi intestinali – In caso di patologie intestinali che danneggiano l’assorbimento dei grassi, è molto probabile un deficit di vitamina D. E’ una vitamina liposolubile, che viene dunque assorbita attraverso i grassi. I principali disturbi intestinali che danneggiano l’assorbimento dei grassi sono morbo di Crohn e celiachia.
- Eccessivo peso corporeo – Un aumento del peso, determina una maggiore necessità di vitamina D rispetto al fabbisogno di un normopeso, pertanto in caso di sovrappeso le probabilità di carenza sono elevate.
- Dolori alle ossa – Molto spesso dipendono dalla carenza di vitamina D.
- Età avanzata – L’avanzare dell’età determina una minore produzione di vitamina D, che pertanto andrebbe integrata in altro modo.
- Pelle scura – E’ un elemento che ne accresce il rischio: gli individui con la pelle scura tendono ad assorbire minore quantità di vitamina D, aumentando di rischi di carenza.
La vitamina D è da decenni sotto la lente degli esperti che a lungo hanno dibattuto sui valori soglia che permettono di identificare situazioni di carenza, in gergo tecnico ipovitaminosi D: ecco perché un gruppo di specialisti provenienti da tutto il mondo ha deciso di affrontare alcuni interrogativi ancora aperti. Qual è il marcatore biologico o biochimico che può meglio identificare un paziente ad alto rischio di ipovitaminosi? Quali sono i valori di cut-off che definiscono un reale deficit di vitamina D?
Le risposte a queste domande sono contenute in un documento pubblicato su “British Journal of Clinical Pharmacology“.
“Nonostante tutte le controversie che ruotano intorno alla vitamina D, il suo ruolo essenziale nella Salute dell’osso è noto da oltre un secolo e, generalmente, quando si riscontra uno stato di ipovitaminosi D si interviene somministrando il colecalciferolo o altri precursori della vitamina D“, afferma Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia al San Raffaele di Milano e presidente Gioseg (Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group). “Trattandosi di un ormone, e non di una vitamina come erroneamente si crede è fondamentale quindi accertarne il deficit, definire la gravità della carenza nel singolo individuo. Questo ci permette di intervenire in forma personalizzata“. La vitamina D “è un ormone strategico per la resistenza dell’osso in quanto un osso non correttamente mineralizzato è un osso poco resistente. La carenza di vitamina D determina appunto una ridotta mineralizzazione ossea e quindi la predisposizione a sviluppare fratture scheletriche“.
Ad oggi, il dosaggio sierico del metabolita circolante, la 25 idrossi-vitamina D, è considerato il gold standard per valutare lo stato vitaminico D e, nonostante vi siano diverse definizioni di ipovitaminosi proposte da diverse società scientifiche e istituzioni nazionali e internazionali, la sua concentrazione nel sangue è considerata, dicono gli specialisti, il miglior biomarker. Il consenso raggiunto dagli esperti di Endocrinologia che si sono riuniti nel 2017 a Pisa è che valori di 25 idrossi-vitamina D inferiori a 12 nanogrammi per millilitro (ng/ml) riflettono una condizione sfavorevole per la Salute ossea, un ridotto assorbimento del calcio, una scarsa mineralizzazione ossea e vengono associati a un aumentato rischio di rachitismo e di osteomalacia; solo però valori superiori a 20 ng/ml sono considerati sicuri e sufficienti per la Salute dell’osso.
L’estate il momento migliore per fare il pieno di Vitamina D
“L’estate è la stagione delle occasioni”, non solo per le opportunità di divertimento che offre, ma anche per lasciarsi baciare dal sole e incassare un prezioso tesoretto: la vitamina D. Ed essere ‘curvy’ aiuta. Parola di esperto. L’invito ad approfittare delle vacanze per fare scorta di questo ormone amico delle ossa arriva da Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia al San Raffaele di Milano e presidente Gioseg (Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group).
“L’estate – sottolinea lo specialista – è la stagione in cui soprattutto nelle nostre attitudini mediterranee c’è un’opportunità importante di esposizione alla luce solare”, alleata della produzione di vitamina D. “L’idea non è quella di un’esposizione intensiva o nelle ore della giornata più calde. Basta un lasso di tempo breve (mezz’ora o un’ora) quando il sole non è particolarmente a picco, conciliando il tutto con i consigli del dermatologo che sconsiglia un’esposizione troppo violenta. Non bisogna esagerare, ma la luce solare è estremamente importante e durante questa stagione si fanno le scorte”.
E c’è anche una buona notizia per chi è arrivato alla prova costume con qualche chilo di troppo. Le forme morbide si rivelano un vantaggio: “Soprattutto le persone in cui c’è un tessuto adiposo ben rappresentato possono fare delle scorte di vitamina D, che è appunto un ormone adiposo, steroideo, e quindi si può legare ai depositi di grasso – spiega Giustina – Per cui se uno ha qualche chilo di troppo non deve colpevolizzarsi perché, almeno per quello che riguarda la vitamina D, è possibile che i benefici dell’esposizione alla luce solare si prolunghino un po’ di più anche nelle buie giornate invernali”.
Vitamina D: tutti gli alimenti in cui è contenuta
Basterebbe un’esposizione al sole giornaliera di soli dieci minuti per assumere sufficienti quantità di Vitamina D: non a caso, questa sostanza così importante viene anche definita la “vitamina del sole” proprio perché è più semplice assumerla esponendosi alla luce solare che attraverso l’alimentazione, come invece avviene con altre vitamine.
Molto spesso, però, è difficile abituarci ad una giornaliera esposizione al sole che ne garantisca la corretta assunzione. Ancor più difficile è assumere la vitamina D tramite l’alimentazione, visto che non sono molti gli alimenti che ne sono ricchi.
Cerchiamo quindi di capire come assumere questa vitamina tramite la nostra alimentazione quotidiana, introducendo magari i cibi che ne contengono maggiori quantità. Ecco quali sono:
- Olio di fegato di merluzzo: se il suo forte aroma non vi scoraggia, questo è certamente l’alimento che contiene maggiori quantità di vitamina D (circa 210 µg/100g);
- Sardine: tra i pesci più ricchi di vitamina D, mangiarne una piccola scatola potrà colmare fino al 70% del fabbisogno giornaliero;
- Funghi Shiitake: questa particolare varietà di funghi, nella sua versione secca reperibile in commercio, apporta grandi quantità di vitamina D. Questo è dovuto al fatto che questi funghi, per prosperare, assorbono grandi quantità di luce del sole;
- Uova: anche le uova, soprattutto il tuorlo, sono un’ottima fonte di vitamina D. Possono infatti fornirne fino al 10% del nostro fabbisogno quotidiano;
- Tonno: bastano 90 grammi di tonno al giorno per garantire circa il 50% del fabbisogno giornaliero di vitamina D;
- Sgombro: oltre a tutti i minerali che contiene (magnesio, fosforo, potassio, sodio, ecc.), lo sgombro è anche un’ottima fonte di vitamina D.
Questi alimenti sono certamente quelli più utili da inserire in una dieta volta a colmare una carenza di vitamina D, ma discrete dosi di questa vitamina possono essere fornite, più in generale, dai pesci, specialmente quelli più grassi, dal fegato, dal burro e dai formaggi particolarmente grassi.
Si tenga presente che le informazioni presenti in questa pagina sono di natura generale e a scopo divulgativo e non sostituiscono in nessun caso il parere del medico, il primo punto di riferimento a cui ricorrere per avere informazioni, chiarimenti, e a cui affidarsi per consigli o esami.