Alto rischio siccità, incendi, scongelamento del permafrost e insicurezza alimentare: ecco cosa ci aspetta secondo gli scienziati dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, ovvero il braccio scientifico dell’Onu che si occupa di cambiamenti climatici. Dal periodo preindustriale, denuncia lo studio, la temperatura sulle terre emerse del nostro pianeta è aumentata di 1,53 gradi centigradi.
Il rapporto dell’IPCC è il frutto dei confronti che hanno avuto luogo in questi giorni a Ginevra in occasione della 50ª sessione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change e i cui risultati verranno sottoposti ai leader politici in occasione del prossimo vertice dell’azione per il clima delle Nazioni Unite il 23 settembre a New York.
Quali sono dunque i punti essenziali del Rapporto IPCC appena pubblicato? Di seguito domande e risposte stilate dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici per approfondire i contenuti del Report “Climate Change and Land”, il “Rapporto Speciale IPCC sui Cambiamenti Climatici, Desertificazione, Degrado del suolo, Gestione Sostenibile del territorio, Sicurezza Alimentare e Flussi dei Gas ad Effetto Serra negli Ecosistemi Terrestri”.
Quale è il contributo del settore agro-forestale ai cambiamenti climatici?
Il territorio è sia una fonte che un sink (“pozzo”) di gas serra (GHG) e svolge un ruolo chiave nello scambio di energia, acqua e aerosol tra la superficie terrestre e l’atmosfera.
- Circa il 23% delle emissioni di gas serra di origine umana proviene da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo (AFOLU). Le emissioni sono prevalentemente dovute alla deforestazione, parzialmente compensate da imboschimenti e rimboschimenti e da altri usi del suolo. L’agricoltura è responsabile di circa la metà delle emissioni di metano indotte dall’uomo ed è la principale fonte di protossido di azoto, due gas ad effetto serra molto potenti.
- Allo stesso tempo, la biosfera terrestre assorbe quasi il 30% delle emissioni antropogeniche di CO2 grazie ai processi naturali. Tuttavia, questa funzione è vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici (ad es. a causa dell’aumento della siccità e degli incendi) e ad altre pressioni ambientali e umane.
- Infine i cambiamenti di uso del suolo modificano le proprietà biofisiche della superficie terrestre (bilancio energia e acqua), che portano ad ulteriori variazioni di temperatura e precipitazioni a scala locale.
Quanto il sistema di produzione alimentare contribuisce ai cambiamenti climatici?
- Il sistema alimentare globale, che include tutte le emissioni generate lungo l’intera filiera dalla produzione fino al consumo, contribuisce per circa il 25-30% delle emissioni antropogeniche di gas serra. Dal 1960 il consumo di calorie pro capite è aumentato di circa un terzo, il consumo di carne è raddoppiato. L’uso di fertilizzanti chimici è aumentato di nove volte e le aree naturali convertite in agricoltura sono 5,3 milioni di km2, corrispondenti a poco meno della superficie di tutta l’Europa continentale (esclusa la Russia Europea) con un consumo idrico per l’irrigazione pari al 70% del consumo umano totale di acqua dolce. Allo stesso tempo, lo spreco alimentare pro capita è aumentato del 40% e corrisponde attualmente al 25-30% del cibo prodotto, che contribuisce all’ 8–10% delle emissioni del sistema alimentare.
- Per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 2°C, è necessario un cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete a basse emissioni di carbonio, che prevedono un consumo maggiore di vegetali e frutta, e una sostanziale riduzione di consumi di carni rosse. Queste diete hanno anche notevoli vantaggi in termini di salute. Il potenziale di riduzione di gas serra dal cambio di alimentazione è elevato: una transizione diffusa a diete più sane potrebbe liberare un’area da 4-25 MKm2 al 2050 e avrebbe un potenziale di riduzione pari a 1.8-3.4 Gt CO2eq all’anno al 2030, una riduzione di emissione confrontabile alle emissioni generate dalla deforestazione mondiale.
- A livello mondiale, attualmente 821 milioni di persone sono denutrite (una persona su 10) mentre 2 miliardi sono invece affette da obesità (2,5 persone su 10).
A quali rischi sono esposti gli ecosistemi terrestri a causa dei cambiamenti climatici?
- ll rapporto mostra che i cambiamenti climatici aggravano le pressioni esistenti sulle risorse terrestri, sui servizi ecosistemici e sulla biodiversità dallo sfruttamento delle risorse terrestri e d’acqua dolce, il quale non ha precedenti negli ultimi decenni.
- La temperatura dell’aria sulle terre emerse è aumentata più rapidamente della media globale e ha raggiunto circa 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale (quasi il doppio del tasso di aumento della temperatura media globale, che considera anche gli oceani).
- Sono stati già osservati gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi naturali terrestri, il degrado del permafrost, la desertificazione, il degrado del territorio ed impatti sulla sicurezza alimentare. I cambiamenti climatici aumentano il tasso e l’entità del degrado del suolo in corso attraverso due fattori principali: aumento della frequenza, intensità e/o quantità di forti precipitazioni e aumento dello stress da calore. Il riscaldamento globale futuro aggraverà ulteriormente i processi di degrado attraverso inondazioni e più frequenti fenomeni siccitosi, aumento dell’intensità dei cicloni e innalzamento del livello del mare con effetti differenziati a seconda della gestione del territorio. La distribuzione di parassiti e patologie cambierà, influenzando negativamente la produzione agricola in molte regioni.
- In particolare, nella regione del Mediterraneo, la diminuzione osservata e prevista delle precipitazioni annuali a causa dei cambiamenti climatici è accompagnata da un aumento dell’intensità delle precipitazioni con conseguente erosione del suolo.
Quali sono i rischi per la sicurezza alimentare?
- L’aumento delle temperature sta influenzando la produttività agricola a latitudini più elevate, aumentando le rese di alcune colture (mais, cotone, grano, barbabietole da zucchero), mentre rese di altre colture (mais, grano, orzo) sono in calo nelle regioni a latitudine inferiore. Il riscaldamento, aggravato dalla siccità, ha causato una riduzione della produttività nell’Europa meridionale. Il cambiamento climatico sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del pianeta, in particolare in Africa, e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America.
- In futuro il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulla resa agricola, la qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi alimentari. E’ previsto un aumento fino al 23% per il 2050 rispetto agli scenari senza cambiamento climatico.
- Se da un lato un aumento contenuto della concentrazione della CO2 atmosferica potrebbe migliorare la produttività delle colture, dall’altro diminuisce la qualità nutrizionale di alcuni alimenti (ad esempio, il grano coltivato a concentrazioni di CO2 in atmosfera maggiori di circa il 32-42% rispetto alle attuali si può avere il 5,9-12,7% di proteine in meno, 3,7–6,5% in meno di zinco e 5,2–7,5% in meno di ferro).
Quali sono le regioni più a rischio?
- Gli impatti futuri dei cambiamenti climatici possono variare significativamente da una regione all’altra. Si prevede che i raccolti diminuiranno con l’aumento delle temperature, soprattutto nelle regioni tropicali e semi-tropicali. Molto probabilmente l’aridità aumenterà in alcune zone dell’Asia meridionale centrale e orientale, e dell’Africa occidentale, dove risiede circa la metà delle popolazioni più vulnerabili, con gravi rischi per la sicurezza alimentare e conseguente aumento dei fenomeni migratori. Gli effetti dipenderanno principalmente dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dalla riduzione dei terreni disponibili per la produzione agricola.
- Anche la regione del Mediterraneo ha subito una riduzione di produttività agricola dovuta all’aumento dell’intensità delle precipitazioni e dell’aridità, e si prevede che questo trend aumenterà nel futuro.
Quali sono le possibili soluzioni per mitigazione ed adattamento?
- La mitigazione e l’adattamento sono due facce della stessa medaglia nelle politiche di gestione territoriale e ambientale, e l’una non può prescindere dall’altra. Soprattutto quando si parla di mitigazione, è fondamentale assicurare la resilienza degli ecosistemi agricoli e forestali per garantire la permanenza del carbonio stoccato e preservare la capacità di assorbimento di CO2 di questi sistemi. Ad esempio attività di rimboschimento dovrebbero essere associate a misure di protezione dagli incendi boschivi in aree ad alto rischio.
- Esistono molte strategie efficaci di gestione del territorio a basso/medio costo, che coinvolgono la gestione della filiera alimentare e la gestione del rischio, e allo stesso tempo contrastano il cambiamento climatico, il degrado del suolo e promuovono la sicurezza alimentare.
- La maggior parte di queste strategie può essere applicata senza incorrere nel rischio di aumentare la competizione per l’uso della terra, offrendo potenzialmente molteplici vantaggi. Ad esempio, il cambiamento della dieta alimentare, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari possono ridurre la pressione sulle risorse, contribuendo allo sradicamento della povertà e al miglioramento delle condizioni di salute e igiene con un potenziale di mitigazione di 0.7–8,0 GtCO2-eq anno-1 per il cambiamento a diete a basso consumo di carne, mentre la riduzione dei rifiuti alimentari e agricoli può ridurre le emissioni di 0,8–4,5 CO2-eq anno-1
- La gestione del territorio presenta numerose sfide che toccano diversi ambiti fondamentali per la vita umana e dell’ambiente in cui viviamo. Le azioni di mitigazione e adattamento devono considerare le condizioni locali, la varietà di interessi contrastanti e i limiti fisici ambientali. Pacchetti di misure e politiche integrate e coerenti per la gestione climatica e del territorio supportati, ad esempio, da approcci partecipativi e strumenti di valutazione delle prestazioni, presentano un notevole potenziale per un uso efficiente delle risorse, amplificando la resilienza sociale, il restauro ecologico e l’impegno sul territorio delle parti interessate.
- La protezione delle foreste e la riduzione del degrado forestale è l’opzione di mitigazione che ha il potenziale più elevato anche in termini di benefici ambientali e sociali (0.4–5.8 GtCO2-eq yr-1).
- Il potenziale totale di mitigazione delle attività agricole e zootecniche è stimato in 1,5–4,0 GtCO2eq all’anno entro il 2030 a prezzi che vanno da 20-100 USD / tCO2eq, attuando misure con notevoli sinergie tra adattamento e mitigazione. L’aumento della sostanza organica dei suoli aumenta la capacità di stoccaggio di CO2 atmosferica (mitigazione), migliorando la capacità di ritenzione idrica dei suoli (adattamento).
- Molti modelli climatici fanno affidamento ad azioni di mitigazione che prevedono rimboschimenti e diffusione di colture bioenergetiche su larga scala, associate a sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio (BECCS). L’attuazione di queste misure su larga scala, può aumentare il rischio di competizione per l’uso della terra con altri usi (es. Produzione agricola). Aumentare l’estensione e l’intensità della produzione di biomassa attraverso, ad esempio, l’aumento dell’uso di fertilizzanti, dell’irrigazione o dell’utilizzo di monocolture, può provocare impatti negativi come il degrado ambientale. D’altra parte, quando vengono attuate rispettando i criteri di sostenibilità ambientale e sociale, le produzioni di bioenergia su scala locale, come anche le attività di rimboschimento di aree degradate, possono portare notevoli benefici per il ripristino e restauro ambientale di zone marginali.
L’assorbimento di CO2 degli ecosistemi terrestri può contrastare il cambiamento climatico?
- E’ indubbio che la gestione del territorio e del sistema alimentare abbia potenzialità di mitigazione. D’altra parte le concentrazioni di gas serra in atmosfera sono tali che, solo attuando tagli rapidi e profondi delle emissioni in tutti i settori, si può raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature a 2? rispetto all’era pre-industriale.
- Queste riduzioni devono essere necessariamente accompagnate da cambiamenti comportamentali ed alimentari e da una gestione sostenibile del territorio che massimizzi i benefici di mitigazione, adattamento, biodiversità e contrasto al degrado del suolo.