Incendi, l’Artico sta bruciando: fuoco in Alaska, Groenlandia e Siberia, “mai successo niente di simile, non sappiamo come l’atmosfera reagirà a una situazione così drammatica” [FOTO e VIDEO]

"Gli incendi artici non sono senza precedenti. Quello che è senza precedenti è il numero di incendi che si stanno verificando. I satelliti intorno al pianeta non avevano mai visto prima questo livello di attività", spiegano gli esperti
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L’Artico sta bruciando. Grandi fasce del tradizionalmente freddo Artico vengono consumate da un incredibile numero di incendi dalla Russia alla Groenlandia e all’Alaska. “Incendi artici: la combinazione di queste due parole è ancora insolita nel mio campo della scienza degli incendi. Gli incendi artici sono rari, ma non sono senza precedenti. Quello che è senza precedenti è il numero di incendi che si stanno verificando. I satelliti intorno al pianeta non avevano mai visto prima questo livello di attività”, afferma Guillermo Rein dell’Imperial College London. Nella gallery scorrevole in alto a corredo dell’articolo, alcune immagini satellitari degli incendi che stanno devastando l’Artico.

Senza precedenti, dunque, ma non senza una spiegazione. L’Artico si sta riscaldando al doppio della velocità rispetto al resto del pianeta, portando all’essiccazione della vegetazione, che alimenta enormi incendi. Fortunatamente per noi, questi incendi solitamente minacciano aree remote e scarsamente popolate. Ma purtroppo per l’intera umanità, finora nel 2019, gli incendi artici hanno rilasciato 121 megatoni di anidride carbonica nell’atmosfera, ossia oltre la quantità emessa dal Belgio ogni anno. Questo batte il precedente record artico di 110 megatoni di CO?, stabilito nel 2004. E siamo solo all’inizio di agosto. Nel video in fondo all’articolo, l’animazione delle enormi concentrazioni di nerofumo sull’Artico nel mese di luglio.

Il motivo dietro emissioni così alte è la straordinarietà di questi incendi. Non sono incendi ordinari. Molti stanno bruciando attraverso la torba, che forma la base di tutti gli ecosistemi, le torbiere. È composta da materia organica che si decompone lentamente e che gradualmente si accumula in uno strato a volte spesso diversi metri. Con il giusto tempo e la giusta pressione, alla fine si solidifica nell’indiscusso campione delle emissioni: il carbone. Le torbiere sono la più grande riserva naturale di carbone della Terra. Da qui, germoglia il resto degli ecosistemi, nonostante gli alberi non sviluppino una grande altezza a causa del basso contenuto di ossigeno della torba. La parete vegetativa è sottile, il che significa che maggiori quantità di luce raggiungono il suolo, alimentando la crescita di soffici e umidi muschi di sphagnum. In un sistema sano, questi muschi, detti anche super muschi, impediscono alla torbiera di bruciare. Infatti, una torbiera fiorente può agire come tagliafuoco, impedendo la diffusione degli incendi vicini.

Ma con l’intervento dell’uomo, come prosciugare le torbiere per l’agricoltura o riscaldare l’Artico con le emissioni, le cose cambiano. Quando la torba è umida, è composta fino al 95% da acqua, ma quando si asciuga, si trasforma in una delle sostanze più infiammabili in natura. “Se questi tipi di torbiere dovessero prendere fuoco, si possono bruciare ben oltre 1000 anni di accumulo di carbonio in un singolo incendio”, ha spiegato Mike Waddington, esperto di ecoidrologia della McMaster University. Per ogni ettaro, si potrebbero perdere 200 tonnellate di carbonio nell’atmosfera. Una normale auto ne emette 5 tonnellate all’anno.

E quando la torba più secca brucia, lo fa in un modo stranissimo. Lo scorso anno in California, i forti venti autunnali hanno alimentato le fiamme del Camp Fire, che ha consumato erba e sterpaglie secche e alberi, prima di cancellare una città di 30.000 abitanti nel giro di pochi minuti. Ma quando a prendere fuoco è la torba, per esempio dopo un fulmine che colpisce la superficie, essa arde come una sigaretta accesa, bruciando sempre più in profondità nel suolo e spostandosi lateralmente nell’ecosistema, creando enormi buchi nel suolo. Rein spiega che questi buchi sono così profondi da poterci sparire dentro. Questo incendio tridimensionale continua a volte per mesi, rosicchiando verso il basso e di lato attraverso il materiale ricco di carbonio. “È la combinazione di questi due fenomeni che porta enormi emissioni di carbonio, enormi danni all’ecosistema, enormi danni al suolo e agli apparati radicali. Si deve andare su un altro pianeta per trovare un tipo di incendio più persistente, ha affermato Rein.

Questa persistenza è particolarmente pericolosa se un fuoco di torba incontra una foresta non sana. Qui, il suolo trasporta più ossigeno, aiutando gli alberi a raggiungere altezze maggiori. “Quando questi alberi diventano più grandi, l’ombra essenzialmente è la criptonite dei super muschi. Smettono di crescere e smettono di conservare carbonio. Quindi, non solo si ha più “carburante” negli alberi, ma si perde quel muschio resistente in superficie”, spiega Waddington. Questa è la ricetta per un incendio fuori controllo. E se i muschi non conservano carbonio, non ci aiutano nel caos che abbiamo creato. E qui la soluzione è strana. “Sembra un controsenso tagliare gli alberi e conservare più carbonio, ma è esattamente quello che può succedere. Si faranno crescere i muschi e non solo si conserverà carbonio ma si ridurrà il rischio di futuri incendi”, ha aggiunto. Ma questo richiederebbe una gestione delle foreste su fasce dell’Artico che allo stato attuale sembra difficile immaginare.

Quello a cui stiamo assistendo è un’altra complicazione del grande problema dei cambiamenti climatici: quando la torba brucia, emette molta anidride carbonica e quando le torbiere non sono sane, non ne catturano affatto. La portata con cui questo influenzerà i cambiamenti climatici non è ancora chiara, così come non è chiaro quanto potrà peggiorare la situazione nell’Artico. Quello che è certo è che il problema è estremamente urgente: le torbiere coprono 3,4 milioni di chilometri quadrati nel mondo, conservando la stessa quantità di carbonio che si otterrebbe bruciando i combustibili fossili per 60 anni.

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