Enormi tratti della Foresta Amazzonica, da sempre considerata come i polmoni del pianeta per la capacità di assorbire l’anidride carbonica, conservarla nel suo suolo e produrre ossigeno, sono in fiamme. Il fumo dei grossi incendi ha trasformato il giorno in notte a San Paolo, in Brasile, e ha intensificato la controversia sulle politiche di utilizzo della terra da parte del governo brasiliano. Le immagini delle auto che circolavano in città con i fari accessi e con l’illuminazione stradale in funzione mentre in realtà era pieno pomeriggio sono apocalittiche, come mostrano i video in fondo.
Quando la notizia ha fatto il giro del mondo, è subito emerso un chiaro problema: l’Amazzonia bruciava da 3 settimane ma noi non lo sapevamo. Non c’erano notizie in prima pagina, né fotografie o hashtag. Quando invece a bruciare è stata la Cattedrale di Notre Dame, nel mese di aprile, la notizia era sulle pagine di tutti i giornali. Antichi reperti sono stati salvati mentre la guglia della Cattedrale veniva avvolta dalle fiamme. Ma se brucia l’Amazzonia, brucia il pianeta.
Le riserve di carbonio all’interno della foresta servono a rallentare il ritmo del riscaldamento globale. Mentre alberi ed animali sono circondati e divorati dalle fiamme, il fumo può essere visto anche dallo spazio. Secondo le immagini satellitari della NASA, uno strato di fumo copre oltre 3,2 milioni di chilometri quadrati. La Foresta Amazzonica brasiliana ha avuto oltre 74.000 incendi da gennaio, secondo i dati del National Institute for Space Research (INPE) del Brasile. Rispetto allo scorso anno, si tratta di un aumento dell’85%, molto più alto dei 67.790 incendi a questo punto dell’anno nel 2016, quando nell’area le condizioni erano molto siccitose ed erano associate all’evento di El Niño. “Non c’è niente di anomalo nel clima di quest’anno o nelle precipitazioni nell’area amazzonica, che sono solo di poco inferiori alla media. La stagione secca crea le condizioni favorevoli per l’utilizzo e la propagazione degli incendi, ma appiccare un incendio è opera dell’uomo, intenzionalmente o accidentalmente”, ha detto Alberto Setzer, ricercatore INPE.
Questi incendi stanno facendo sorgere la preoccupazione che la foresta pluviale, una delle aree della Terra più biologicamente diversificate, possa essere trasformata dalle operazioni di disboscamento e da altre attività intese a trasformare la terra per usi agricoli. Secondo il Copernicus Cliate Change Service dell’Unione Europea, gli incendi hanno portato un chiaro aumento delle emissioni di monossido di carbonio e di anidride carbonica, che riscalda il pianeta, creando una minaccia per la salute umana e aggravando il riscaldamento globale.
L’INPE tiene traccia della deforestazione in Brasile e i suoi dati mostrano un enorme aumento in Amazzonia quest’anno. All’inizio di agosto, l’INPE ha scoperto che da gennaio sono andati persi 3444km² di foresta pluviale, un tasso più alto del 40% rispetto al 2018.
Il rilascio di questi dati e la conseguente copertura mediatica che hanno ottenuto si sono guadagnati l’ira del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Bolsonaro, che favorisce l’incremento dell’agricoltura e lo sviluppo minerario nell’Amazzonia, ha definito questi numeri una “bugia” e ha licenziato Ricardo Galvão, il direttore dell’agenzia scientifica.
Perché tanti incendi proprio ora?
I recenti incendi in Amazzonia sono diffusi e alcuni sono arrivati anche all’improvviso. Nello stato di Para, per esempio, la scorsa settimana c’è stato un aumento degli incendi che è stato collegato ad un appello per una “giornata di fuoco” da parte degli agricoltori il 10 agosto, secondo le fonti locali. L’INPE, utilizzando sensori satellitari e altri strumenti per localizzare gli incendi, ha registrato centinaia di incendi nello stato mentre gli agricoltori disboscavano l’area per l’agricoltura e davano a fuoco ad aree intatte di foresta pluviale per un ulteriore sviluppo. Il disboscamento in quest’area avviene per l’allevamento di animali e per la coltivazione di soia. Molte delle opere di disboscamento avvengono illegalmente. Gli incendi di questo ed altri stati hanno prodotto un pennacchio di fumo che si è diffuso verso sud-est nel Brasile, oscurando i cieli di molte città. E pensare che la stagione degli incendi è appena iniziata: va da agosto ad ottobre, con il picco solitamente previsto a metà settembre.
Senza l’Amazzonia, il riscaldamento globale accelera
L’aumento degli incendi e della deforestazione in Amazzonia rendono più difficile, se non impossibile, per i Paesi contenere il riscaldamento globale ben al di sotto di +2°C rispetto ai livelli pre-industriali, come richiesto dall’Accordo di Parigi. L’Amazzonia, che si estende per quasi 5,5 milioni di chilometri quadrati, assorbe circa un quarto dei 2,4 miliardi di tonnellate di carbonio che le foreste globali assorbono ogni anno. Tuttavia, l’abilità della foresta pluviale di assorbire più carbonio di quanto ne venga rilasciato sta diminuendo, indebolita dal cambiamento dei modelli meteorologici, dalla deforestazione e dall’aumento della mortalità degli alberi, tra i tanti fattori. Gli incendi in corso danneggeranno ulteriormente la sua funzione di deposito di carbonio.
Se l’Amazzonia si trasformasse in una costante fonte di emissioni di carbonio, accelererebbe il riscaldamento globale, mentre porterebbe anche ad un’enorme perdita di specie che non sono presenti in nessun altro luogo della Terra.