di Salvatore Giammanco (INGV) – Spesso si associa al concetto di fango quello di una sostanza vile, fastidiosa, inutile in quanto sterile. In realtà, nell’ambito geologico il fango può indicare delle situazioni geologiche e geodinamiche estremamente interessanti e utili per comprendere i meccanismi reconditi di una attività vulcanica e tettonica. Nell’ambito naturalistico e paesaggistico, inoltre, il fango può creare forme ed ambienti di rara ed assoluta bellezza. Il fango non è presente sulla superficie soltanto laddove affiorano argille, ma può anche essere prodotto “ex-novo” a causa di fenomeni geologici (spesso definiti “pseudo-vulcanici”) legati alle dinamiche vivaci del nostro pianeta. In aree sismo-tettoniche attive e in bacini sedimentari geologicamente recenti l’eruzione più o meno violenta di fanghi dal terreno, spesso accompagnata da emissione di fluidi meno densi e iper-salini, indica zone di sovrappressione di fluidi accumulatisi nella crosta a profondità generalmente non superiori ai 10 km e rilasciati in superficie attraverso fratture e/o faglie attive. Per una conoscenza più approfondita dell’argomento si rimanda all’interessante articolo di Alessandra Sciarra e Tullio Ricci.
In Italia sono tante le aree con presenza di vulcani di fango, in prevalenza lungo le maggiori dorsali montuose o in alcune porzioni di piane alluvionali. Nell’area dell’Etna, il maggiore vulcano attivo d’Europa ed uno dei più attivi al mondo, esistono tre zone nelle quali si osserva da lunghissimo tempo (almeno 10.000 anni) l’emissione in superficie di fluidi ad alta salinità spesso ricchi in fango e sempre associati alla presenza di gas gorgoglianti in maniera vigorosa. Queste emissioni fluide prendono il nome di “Salinelle” (il nome chiaramente deriva dalla coltre biancastra di sale che si forma, soprattutto nel periodo estivo, attorno alle bocche eruttive) e sono ubicate nei dintorni dell’abitato di Paternò (CT), ai margini sud-occidentali dell’Etna.
Il più noto ed il più esteso dei tre siti è quello detto Salinelle di Paternò o dei Cappuccini (perché ubicato nei pressi della cosiddetta Collina dei Cappuccini dove era ubicato un vecchio convento di frati) o anche dello Stadio, in quanto nei suoi pressi è stato costruito lo stadio di calcio di Paternò (Figura 1 e video alla fine dell’articolo).
In questo sito le emissioni fluide sono costituite da gas che trasporta in superficie acque iper-saline che, frequentemente, ma non sempre, sono miste a fango e talora anche a idrocarburi pesanti (essenzialmente bitume). La peculiarità di tali acque è anche quella di avere una temperatura minima costante attorno ai 20-25 °C e quando vi sono attività eruttive più intense (veri e propri parossismi) la temperatura aumenta fino a sfiorare i 50 °C (Figura 2).
Il secondo sito è quello delle Salinelle del Fiume, ubicate qualche chilometro ad ovest di Paternò in vicinanza del fiume Simeto (da cui il nome). In questo sito l’attività è simile a quella delle salinelle dello Stadio, ma molto meno intensa. L’emissione di fango è molto rara e le quantità di gas ed acque salmastre emesse sono decisamente modeste e con temperature non differenti da quelle ambientali.
L’ultimo sito è quello delle Salinelle di San Biagio o del Vallone Salato, dette anche di Belpasso in quanto ricadono nel territorio comunale di questo paese pur essendo ubicate pochi chilometri ad est di Paternò. Le Salinelle di San Biagio sono caratterizzate da attività abbastanza differente dalle altre Salinelle; infatti, le emissioni fluide sono costituite quasi esclusivamente da fanghi ad alta densità, oltre che ai gas, e la loro temperatura è anche in questo caso prossima a quella dell’ambiente.
L’attività eruttiva in quest’ultimo sito ha permesso nel tempo l’edificarsi di un notevole edificio vulcanico fangoso, alto diversi metri e del diametro di qualche decina di metri, con numerose bocche di emissione (circa una decina) variamente attive (Figura 3). In tale sito, durante le eruzioni di fango, si osservano interessanti morfologie da flusso di fango che costruiscono canali di scorrimento simili a quelli delle colate di lava etnee (Figura 4).
L’attività delle Salinelle è nota fin dagli albori della colonizzazione umana in questo settore dell’Etna. Le cronache storiche riportano che già i primi insediamenti umani nell’area dell’attuale Paternò, ubicati peraltro proprio nei pressi delle Salinelle dei Cappuccini, facevano uso dei fanghi emessi dalle Salinelle per scopi terapeutici e cosmetici. Ancora oggi in questo sito si trovano un insediamento neolitico datato intorno al VI millennio a.C., delle tombe datate al periodo greco antico e dei resti architettonici attribuiti ad un piccolo edificio romano per uso termale. La prossimità di risorse importanti come il sale e l’acqua calda e la possibilità di un uso anche terapeutico dei fanghi (in tempi più recenti questi sono stati utilizzati sia sugli uomini per curare artrosi, reumatismi e dermatiti, sia sugli animali ed in particolare sui cavalli in caso di slogature alle articolazioni delle zampe) furono probabilmente la motivazione principale per la scelta di questo sito come insediamento umano sin dal neolitico e la ragione di una continuità stanziale durata nei secoli fino ad oggi.
Le prime informazioni di carattere scientifico sulle Salinelle risalgono al 1866 ed al 1878 con i lavori di Orazio Silvestri che descrivono, rispettivamente, due fasi parossistiche dell’attività delle Salinelle dei Cappuccini, accompagnate anche da emissione di acido solfidrico (H2S), correlandole ad eventi sismici locali ed in parte anche all’attività eruttiva dell’Etna. Agli inizi del ventesimo secolo Filippo Eredia studiò l’attività delle Salinelle per oltre 11 anni e nel 1931 pubblicò un saggio nel quale afferma di non avere riscontrato alcuna correlazione con il regime piovoso locale. Gustavo Cumin nel 1954 descrive una ulteriore forte fase di attività parossistica iniziatasi nel Dicembre 1953 con fontane di acqua fangosa alte fino ad 1 m e temperatura massima di 36 °C. In tempi più recenti sono stati molti gli studi effettuati nell’area, soprattutto per definire le caratteristiche geochimiche dei fluidi emessi.
Studi sulla frazione solida dei fanghi, condotti tramite analisi diffrattometrica, hanno evidenziato la preponderante presenza di minerali argillosi (in ordine di abbondanza: smectiti, illite, caolinite e clorite) accompagnati da quantità minori di altri minerali quali quarzo, calcite, dolomite e feldspati. Tale composizione suggerirebbe la provenienza dei fanghi da argille marnose azzurre pleistoceniche che sono presenti largamente intorno e al di sotto delle Salinelle. I depositi minerali che spesso si osservano attorno alle bocche emissive sono costituiti per lo più da incrostazioni biancastre dovute alla precipitazione di halite (ossia cloruro di sodio, il “sale da cucina” classico) e da depositi di ossidi e solfuri di ferro, dal tipico colore rosso bruno o giallastro, ma sono abbondanti anche carbonati, solfati, altri cloruri e solfuri, idrossidi, ecc. (Figura 5).
Le acque emesse dalle Salinelle hanno una composizione chimica e chimico-fisica abbastanza uniforme e costante nel tempo; il loro pH è circa 6, quindi leggermente acido, la loro salinità è superiore a quella dell’acqua di mare e l’abbondanza relativa delle specie chimiche maggiori disciolte vede la netta prevalenza di sodio (Na+) e cloruri (Cl-) sugli altri elementi. Come detto, la temperatura delle acque è normalmente appena al di sopra di quella atmosferica, ma soprattutto alle Salinelle dei Cappuccini spesso presenta valori molto più alti, fino a circa 50 °C; per tale motivo e anche sulla base di studi recenti di tipo geochimico si ipotizza che i fluidi emessi provengano da un acquifero idrotermale con temperatura compresa tra 100 e 150 °C.
I gas emessi dalle Salinelle sono costituiti prevalentemente da anidride carbonica (CO2) e secondariamente da metano (CH4), anche se in quantità estremamente variabili da sito a sito (ad esempio, l’anidride carbonica rappresenta il 90-98 % del totale alle Salinelle dei Cappuccini, mentre il metano è il gas di poco dominante alle Salinelle del Vallone Salato). Altre specie gassose minori emesse sono l’azoto (N2), l’elio (He), l’idrogeno (H2), l’ossido di carbonio (CO), l’acido solfidrico (H2S), il radon (222Rn), il mercurio (Hg) ed altri idrocarburi leggeri. Questi gas hanno origini diverse a seconda della specie chimica. Infatti, gli studi geochimici hanno indicato che il metano delle Salinelle è di origine organica e proviene da sacche di idrocarburi formatesi nel corso di alcune centinaia di migliaia di anni a causa dell’accumulo di materia organica entro i sedimenti recenti della Piana di Catania che successivamente è stata sottoposta a forte riscaldamento grazie all’anomalo gradiente geotermico che caratterizza il basamento sedimentario dell’Etna. Gli stessi studi hanno indicato che l’anidride carbonica, così come l’elio, è invece di origine magmatica e proviene dai serbatoi magmatici più profondi dell’Etna, posti ad una profondità di circa 10 km. La CO2 risale lungo faglie regionali profonde e lungo il suo percorso verso la superficie interagisce con falde acquifere superficiali e fortemente termalizzate, sempre a causa dell’elevato gradiente geotermico locale.
Ormai da diversi anni l’INGV effettua un monitoraggio sistematico delle emissioni fluide delle Salinelle, soprattutto quelle dei Cappuccini. Le variazioni temporali della composizione chimica ed isotopica dei gas magmatici, unite a quelle della temperatura di emissione delle acque e dei fanghi, sembrano legate alle dinamiche del sistema di alimentazione profondo dell’Etna, fornendo ai vulcanologi un utile elemento di comprensione del comportamento di lungo periodo di questo vulcano.
Infine, la bellezza paesaggistica e l’interesse scientifico, naturalistico e storico delle Salinelle ne hanno decretato recentemente il riconoscimento come Geositi di tipo vulcanologico di rilevanza mondiale da parte della Regione Sicilia (Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia N.1 del 8 gennaio 2016 e N.17 del 22 aprile 2016). E’ questo un motivo in più per considerare questo fenomeno come una delle meraviglie naturali del nostro Paese… e non come del banale fango.
Articolo tratto dal Blog INGVvulcani, un canale di comunicazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) nato nell’aprile 2018 per diffondere informazioni corrette e autorevoli sull’attività dei vulcani italiani e sui risultati degli studi e ricerche dell’INGV.