È un colosso che ha una massa pari a circa 400mila volte quella del Sole, si trova a 250 milioni di anni luce dalla Terra e il materiale di cui si ciba tre volte al giorno è equivalente a quattro corpi celesti come la Luna: è un buco nero supermassiccio situato nel centro della galassia Gsn 069. Il fenomeno è stato individuato con il telescopio Xmm-Newton dell’Esa, mentre ulteriori approfondimenti sono stati condotti con l’osservatorio Chandra della Nasa. I risultati delle osservazioni sono stati pubblicati su Nature (articolo: “Nine-hour X-ray quasi-periodic eruptions from a low-mass black hole galactic nucleus”); lo studio è stato svolto da un gruppo di lavoro internazionale, coordinato dall’astrofisico italiano Giovanni Miniutti (Centro di Astrobiologia Csic-Inta di Madrid).
I pasti del buco nero – riporta Global Science – sono stati svelati da emissioni di raggi X, provenienti dal ‘cuore’ di Gsn 069, che si sono ripetute all’incirca ogni nove ore: un comportamento riscontrato precedentemente in buchi neri di massa stellare, ma non in quelli supermassicci. Per definire una condotta così singolare, gli autori del saggio hanno dovuto coniare una nuova definizione: “Eruzioni quasi periodiche a raggi X”. Il primo ad osservare il fenomeno è stato Xmm-Newton, i cui specchi di bordo sono stati realizzati in Italia dalla Media Lario. Il 24 dicembre 2018 il telescopio ha individuato due emissioni, cui hanno fatto seguito altre cinque, scoperte il 16 e il 17 gennaio di quest’anno. Successive indagini condotte con Chandra, il 14 febbraio, hanno evidenziato tre ulteriori emissioni; l’osservatorio Nasa, inoltre, è stato determinante per identificare il centro di Gsn 069 come la fonte di questi flussi. Combinando i dati di Xmm e Chandra, gli astrofisici hanno monitorato le emissioni periodiche per oltre 50 giorni e hanno notato che durante la fase esplosiva diventavano più luminose; nel mentre, il gas che ricadeva verso il buco nero raggiungeva temperature di milioni di gradi, suscitando parecchi interrogativi negli studiosi. Infatti, il suo calore è risultato troppo elevato per poter essere collegato al disco di materiale in ‘caduta libera’ che circonda solitamente i buchi neri.
L’origine delle emissioni potrebbe essere una stella divorata dal buco nero in tutto o in parte – un fatto piuttosto comune per questi ‘gourmet’ cosmici – ma il loro ripetersi in maniera regolare non è ancora ben chiaro e il team della ricerca ha formulato due ipotesi in merito. Secondo la prima, la quantità di energia nel disco raggiunge un livello tale da diventare instabile e far ricadere il materiale nel buco nero in maniera molto rapida, producendo le emissioni; il processo avverrebbe in maniera ciclica. La seconda ipotesi, invece, propone un’interazione tra il disco e un altro corpo in orbita intorno ad esso, verosimilmente quanto rimane della stella parzialmente divorata. I dati raccolti da Xmm e Chandra mostrano, infine, una lieve flessione nella durata e nelle dimensioni dei pasti del buco nero e una crescita dell’intervallo tra un banchetto e l’altro. Gli studiosi ritengono che questa nuova tendenza potrà essere confermata solo da ulteriori osservazioni.