Gli incendi hanno devastato l’Amazzonia e la notizia del polmone della Terra in fiamme ha fatto il giro del mondo (seppur con un certo ritardo). Eppure la deforestazione sta colpendo maggiormente i Paesi dell’Africa occidentale e del Bacino del Congo, ma di questo si parla ancora meno. A denunciarlo è l’ultimo rapporto sulla Dichiarazione delle Foreste di New York – firmata nel 2014 con l’obiettivo di firmare il disboscamento globale entro il 2030 – avvertendo che nel mondo ogni anno scompaiono foreste per un’estensione pari a quella del territorio della Gran Bretagna.
Negli ultimi 5 anni, la perdita di foreste è raddoppiata nelle due aree del continente africano. La ricerca sottolinea che tra il 2014 e il 2018 le più importanti distruzioni di foreste si sono verificate nelle zone tropicali dell’America Latina, ma l’incremento maggiore si è registrato sul continente africano, passato da una media di 2 milioni di ettari l’anno dal 2001 al 2013 a più di 4 milioni dal 2014 al 2018. I danni più estesi si registrano nella Repubblica Democratica del Congo, nel cuore dei Grandi Laghi.
“La deforestazione è aumentata molto rapidamente in Africa, partendo da un livello relativamente basso, ma nel silenzio diffuso” ha detto Charlotte Streck, direttrice di Climate Focus, il think tank che ha coordinato il rapporto stilato da 25 organizzazioni, sottolineando i due pesi due misure nella copertura mediatica degli incendi distruttivi. Un’altra differenza sostanziale tra il Brasile e i Paesi africani è che nel primo caso, il disboscamento è la conseguenza diretta di una linea politica del governo di Brasilia, mentre nel secondo è provocato dall’intenso sfruttamento del legname, essenzialmente da parte della Cina. “Se il governo cinese imponesse la tracciabilità sul legname e le risorse forestali sarebbe più facile lottare al disboscamento” ha sottolineato la Streck, evidenziando anche le “responsabilità dei consumatori con abitudini alimentari poco salutari, carne in primis, che aumentano la pressione economica sulle zone forestali ed agricole“.
Non brucia solo l’Amazzonia: +334% di incendi nel Pantanal
In Brasile, però, non brucia soltanto l’Amazzonia, ma anche il Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Dallo scorso 1 gennaio fino all’11 settembre, l’Istituto brasiliano di osservazioni spaziali (Inpe) ha registrato 4515 focolai di incendi nel Pantanal, segnando un’impennata del 334% rispetto allo stesso periodo del 2018. Una situazione disastrosa che ha spinto i due stati centro-occidentali del Mato Grosso a decretare lo stato di emergenza per poter sbloccare più velocemente i fondi per la lotta alle calamità naturali. Nel Mato Grosso del Sud ieri il governo locale ha riferito di più di 1 milione di ettari andato in fumo sul suo territorio.
Il Pantanal, a sud dell’Amazzonia, è una pianura alluvionale allagata all’80% durante la stagione umida, tra ottobre e maggio, che ospita una fauna estremamente ricca. È situato al 62% in territorio brasiliano, al 20% nel nord del Paraguay e per il 18% in Bolivia. Durante la stagione secca, la vegetazione risulta essere molto vulnerabile, a maggior ragione nel 2019 a causa di un calo del 25% delle precipitazioni medie, di un’ondata di calore e di forti venti, provocando un boom degli incendi. Tuttavia, sottolineano gli ambientalisti, come in Amazzonia la causa principale è umana, con disboscamenti volontari per svolgere attività agricole, di pastorizia e minerarie. E anche per il Pantanal viene messa in causa la politica ambientale del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro.