Non è solo questione di colore. Ci sono alcune carni piuttosto chiare, come quella del maiale, che sono classificate dagli scienziati come carni rosse; altre invece più scure, come quella dell’anatra, che invece fanno parte delle carni bianche. Questo perché, almeno dal punto di vista di ricercatori e nutrizionisti, la differenza tra i due tipi di carne non è solo visiva, ma dipende da caratteristiche di tipo anatomico e biologico del prodotto. Non è semplice trovare una definizione univoca, ma in linea generale si può parlare di carne rossa quando il muscolo dell’animale contiene una quantità di fibre muscolari rosse maggiore rispetto alle bianche. Le fibre rosse sono più ricche di mioglobina, una molecola presente nel muscolo che permette il trasporto dell’ossigeno e del ferro e che contribuisce a donare alla carne il colore rosso o rosato. Attenzione però: anche l’età dell’animale, il sesso e il modo in cui è stato allevato aiutano a determinare il colore finale dell’alimento.
Leggiamo con attenzione
Date queste premesse, per comprendere il legame tra consumo di carne rossa o bianca e cancro è più che mai importante leggere con attenzione i risultati degli studi epidemiologici e capire cosa i ricercatori hanno realmente inteso parlando di “carne rossa” o “carne bianca” nel proprio lavoro. Per esempio, il World Cancer Research Fund (WCRF) nell’ultimo rapporto su dieta, nutrizione, attività fisica e cancro, pubblicato nel 2018, include tra le carni rosse manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra, senza suddividere le analisi tra carne da allevamento (la maggior parte di quella oggi consumata) o selvatica. Gli esperti della Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), autori tra l’altro anche della monografia nella quale la carne rossa viene classificata come probabilmente cancerogena per l’uomo, nel Codice europeo contro il cancro si concentrano sugli animali allevati e ricordano inoltre che pollame, selvaggina e frattaglie non rientrano nella definizione di carne rossa.
Cosa dice la scienza
Se sul legame tra carne rossa e cancro sono stati condotti numerosi studi e si è giunti a conclusioni che lasciano poco spazio al dubbio, per quanto riguarda le carni bianche la situazione è decisamente più confusa. Secondo i risultati di uno studio pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition, questa incertezza è anche legata al fatto che la maggior parte dei lavori non ha valutato in modo adeguato il fatto che la carne bianca viene consumata in alcuni casi in sostituzione della carne rossa (modello sostitutivo, nel quale il consumo totale di carne resta costante), e in altri in aggiunta (modello additivo), con un aumento del consumo totale. Sempre nello stesso studio, gli autori citano alcune analisi secondo le quali il consumo di carne bianca è associato a una riduzione del rischio di tumore del colon-retto, ma anche risultati che suggeriscono come la riduzione osservata nel numero di cancri al polmone, fegato ed esofago sia in realtà legata soprattutto alla riduzione del consumo di carne rossa, sostituita appunto dal pollame.
Studi di tipo additivo hanno permesso di osservare una riduzione del rischio generale di mortalità e di mortalità specifica per tumore con l’aumento del consumo di carne bianca. Lo stomaco è uno degli organi più a rischio di tumori legati a fattori dietetici e da uno studio pubblicato sulla rivista Nutrients nel 2019 è emerso un effetto protettivo delle carni bianche, con una significativa riduzione del rischio legata a un alto consumo. Come spiegano gli autori, servono però ulteriori ricerche per chiarire meglio questo legame. La spiegazione potrebbe essere la presenza di una minore quantità di ferro eme e di una maggior quantità di grassi polinsaturi nel pollame, ma i meccanismi che legano il consumo di carne bianca al rischio di tumore sono molti e ancora non definiti nel dettaglio.
Niente ormoni nel mio pollo!
Molti europei hanno paura degli ormoni che, almeno nell’immaginario collettivo, vengono utilizzati in grande quantità negli allevamenti dai quali derivano le carni che portiamo in tavola, comprese quelle bianche. Lo dice un sondaggio Eurobarometro curato dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), presentato a giugno 2019 in occasione della prima Giornata mondiale della sicurezza alimentare. Dal sondaggio emerge che il 44 per cento circa degli europei è preoccupato per l’uso improprio di antibiotici, ormoni e steroidi negli animali da allevamento. In realtà l’uso di ormoni e sostanze con effetto ormonale per la promozione della crescita degli animali da allevamento è vietato in Europa sin dal 1981, a seguito della direttiva 81/602/EEC.
È importante sottolineare che questo divieto riguarda tutti gli stati membri e anche le importazioni da paesi esteri. Negli anni, e dopo attente valutazioni da parte di comitati di esperti, la direttiva è stata sostituita da un altro strumento legale, la direttiva 96/22/EC, modificata in seguito dalla direttiva 2003/74/EC. Gli esperti ricordano che la Commissione incaricata è sempre attenta alle nuove informazioni scientifiche per poter aggiornare prima possibile e nel modo migliore i testi disponibili nell’interesse della salute dei cittadini. Le regole quindi ci sono e la buona notizia è che, a quanto pare, vengono anche rispettate. Un’indagine svolta dal Ministero della salute nel 2014nell’ambito del Piano nazionale per la ricerca dei residui (PNR) negli animali e nei prodotti di origine animale, come miele, latte e uova, ha riscontrato irregolarità (e quindi presenza di sostanze proibite) solo nello 0,11 per cento dei 40.000 campioni analizzati.
Se si parla nello specifico di pollo, un comunicato emesso nel 2017 dall’Unione nazionale filiere agroalimentari delle carni e delle uova spiega che tutto il pollo consumato in Italia è prodotto per intero nel nostro Paese (la filiera è completamente autosufficiente), non contiene ormoni e l’uso di antibiotici si sta progressivamente riducendo.
In conclusione
A differenza di quanto avviene per la carne rossa e lavorata, in base ai dati oggi disponibili non è possibile affermare con certezza se il consumo di carne bianca sia o meno associato al rischio di sviluppare tumori. Quel che è certo è che, grazie alle leggi e agli stretti controlli, non vi sono ormoni nella carne che portiamo in tavola. Indipendentemente dal legame tra carne bianca e rischio oncologico, resta valida la raccomandazione degli esperti di ridurre le proteine di origine animale nella dieta e di puntare piuttosto su quelle di origine vegetale.