I buchi neri primordiali, oggetti formatesi poche frazioni di secondo dopo il Big Bang, forniscono nuovi indizi sulla natura della materia oscura. E’ questo il tema dello studio condotto dai ricercatori della Sissa, dell’Infn e del Cern, che hanno osservato le interazioni tra la luce e i gas nello spazio intergalattico utilizzando supercomputer e telescopi. Grazie alle simulazioni effettuate con il supercomputer Ulysses – spiega Global Science – sono state riprodotte le interazioni tra fotoni e idrogeno e confrontate con interazioni reali, rilevate dal telescopio Keck delle Hawaii. Secondo i risultati ottenuti, sebbene sia difficile affermare che tutta la materia oscura sia costituita da questo tipo di buchi neri essi potrebbero comunque costituirne una frazione. La ricerca è comunque essenziale per la costruzione di nuovi modelli teorici sulla natura della materia oscura.
La caccia alla materia oscura sembra essere ad una svolta, il cerchio sembra stringersi. Molto potranno fare missioni come Euclid dell’Esa che sta completando la sua fase di integrazione presso gli stabilimenti di Thales a Cannes e Wfirst della Nasa. Euclid verrà lanciato nel 2022 e indagherà, alla ricerca della materia oscura, l’espansione dell’Universo negli ultimi dieci miliardi di anni, esplorando le epoche cosmiche da prima che l’espansione iniziasse ad accelerare fino ad oggi. Wfirst, invece, è un super telescopio dedicato all’osservazione dell’universo, in particolare allo studio della materia oscura e degli esopianeti.
In programma per la metà degli anni 20, Wfirst, avrà un’ampiezza visiva cento volte superiore a quella di Hubble e sarà in grado di scrutare miliardi di galassie, supernovae e circa 2600 esopianeti già noti. Due missioni cariche di aspettative quindi, che promettono di fornire nuove interpretazioni sulla natura della materia oscura, che rimane ad oggi uno dei più grandi misteri del cosmo.