Una cura contro il Parkinson non è più un’utopia: lo sviluppo della malattia potrebbe essere rallentato grazie alle Resolvine, molecole prodotte dal nostro organismo per spegnere processi infiammatori e riparare i tessuti danneggiati da questi processi. Lo evidenzia un nuovo studio pubblicato su Nature Communications dai ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata, Fondazione Santa Lucia IRCCS e Università Campus Bio-Medico di Roma.
I ricercatori hanno prima rilevato un ridotto livello di una specifica Resolvina, la Resolvina D1, in pazienti affetti dalla patologia e sono quindi intervenuti in modo sperimentale su modelli di laboratorio per riequilibrare la presenza di questa importante molecola nell’organismo animale. Il gruppo di ricerca e’ cosi’ riuscito a rallentare il processo neurodegenerativo che caratterizza la malattia di Parkinson.
Partendo da questa osservazione, i ricercatori hanno somministrato Resolvina D1 in modelli di laboratorio e dopo due mesi di trattamento hanno potuto osservare una progressiva riduzione dello stato infiammatorio e del processo degenerativo. Si sono cosi’ ridotti anche i sintomi motori e comportamentali caratteristici della malattia. I risultati dello studio, sottolineano i ricercatori, offrono nuovi spunti non solo per l’individuazione di terapie efficaci ma anche nell’anticipazione dei tempi di diagnosi della malattia.
“E’ ragionevole ipotizzare che la presenza ridotta di Resolvine in pazienti affetti da Parkinson possa in futuro servire anche come marcatore precoce della malattia“, spiega inoltre Valerio Chiurchiù, ricercatore dell’Unità di Biochimica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’IRCCS Santa Lucia. Lo studio ha visto anche la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università degli Studi di Perugia, dell’Università di Tubinga in Germania e dell’Università di Harvard negli Stati Uniti.