Il terremoto di Ischia del 21 agosto 2017, che ha prodotto ingenti danni e distruzione tra Casamicciola e Lacco Ameno, e causato due vittime, deve essere visto come un campanello d’allarme. La storia passata dell’Isola, infatti, mostra che spesso i terremoti più forti avvengono a ‘sciami’, nella stessa zona, distanziati temporalmente l’uno dall’altro di alcuni anni, e con una durata totale di alcuni decenni. E’ quindi urgente la messa in sicurezza degli edifici in un’area, ampia circa 20 km2, in cui i terremoti del passato sono stati fortemente distruttivi. E’ quanto emerge dal lavoro pubblicato sulla rivista Engineering Geology da ricercatori dell’INGV di Napoli, dell’Università di Trieste e dell’Accademia dei Lincei. Nel lavoro sono analizzati in dettaglio i terremoti del passato ad Ischia e la distribuzione dei danni prodotti ai centri urbani, che per il disastroso terremoto del 1883 furono molto ben descritti da Giuseppe Mercalli.
I ricercatori hanno preso in esame, in particolare, la sequenza sismica dell’800, che ebbe inizio nel 1828 e fece 29 vittime, proseguendo poi con 5 eventi distruttivi, di cui gli ultimi due, nel 1881 e nel 1883, causarono rispettivamente 127 e 2313 vittime. Come ricorda Giuseppe De Natale, ricercatore dell’INGV:
Già ben prima del terremoto del 1883, Mercalli ammonì le autorità dell’epoca ad evitare di ricostruire negli stessi luoghi distrutti nel 1881, e con le stesse tecniche; non fu ascoltato, e due anni dopo le vittime furono 20 volte più numerose. Il nostro lavoro calcola anche, in maniera necessariamente approssimativa, il numero di vittime che verosimilmente si avrebbe se avvenisse a breve un terremoto simile, rispettivamente, al 1883, al 1881 o al 1828. Gli scenari attesi, sebbene implicherebbero meno vittime dei terremoti ‘gemelli’ del passato, sarebbero ancora insostenibilmente luttuosi (con uno scenario massimo di oltre 1000 vittime), in particolare a Casamicciola alta; che andrebbe quindi non riurbanizzata, se non con tecniche costruttive particolari’.
Giuliano Panza, Accademico dei Lincei, precisa:
Le accelerazioni registrate per il terremoto del 2017, inoltre, hanno dimostrato l’inadeguatezza dell’attuale mappa di pericolosità sismica dell’area, e la necessità di procedere ad una sua completa revisione, basata su un metodo noto come NDSHA (Neo-Deterministic Seismic Hazard Assessment), basato sul calcolo teorico delle accelerazioni massime che possono essere prodotte dalle sorgenti sismiche, ormai sufficientemente note, presenti nell’area.
Come sottolinea ancora De Natale:
Il lavoro dimostra che il metodo più efficace per la messa in sicurezza delle aree urbane a maggior rischio è quello di consolidare gli edifici in modo che possano resistere, in ciascuna area, alle stesse intensità sperimentate durante il terremoto del 1883, che può essere ragionevolmente considerato il più forte evento atteso. La necessità di nuove metodologie per la definizione della pericolosità sismica, e di una rapida messa in sicurezza dei centri urbani più esposti, ad Ischia è evidentemente urgente, ma rappresenta comunque un paradigma per l’intero territorio Italiano; dove, purtroppo, terremoti di magnitudo anche estremamente modesta causano vittime e distruzioni ingiustificabili’.
Nelle immagini è mostrata la mappa delle intensità macrosismiche rilevate ad Ischia in seguito al terremoto del 1883 (oltre 2300 vittime). La zona in violetto, a cui è stata attribuita intensità del XI grado della scala Mercalli (distruzione totale), è praticamente la stessa gravemente danneggiata o parzialmente distrutta dal terremoto del 21 Agosto 2017 (2 vittime). La foto a destra mostra un particolare dei danni prodotti in tale zona dal terremoto del 2017.