Judith Curry è una climatologa americana, ex presidente della School of Earth and Atmospheric Sciences dello Georgia Institute of Technology ed attuale presidente di Climate Forecast Applications Network (CFAN). È anche un’ex professoressa di Scienze atmosferiche e oceaniche della University of Colorado-Boulder e ha lavorato anche per la Penn State University, la Purdue e l’University of Wisconsin-Madison. È membro del Climate Working Group della NOAA e fa parte dell’Advisory Council Earth Science Subcommittee della NASA. Tra i tanti premi ricevuti, c’è anche l’Henry G. Houghton Research Award dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Curry ha scritto anche centinaia di articoli peer-reviewed e attualmente gestisce un blog in cui scrive di argomenti legati alla climatologia e all’interfaccia scienza-politica. Nessuno meglio di lei, climatologa affermata, può fornire un quadro migliore della questione clima, parlando di IPCC, proiezioni improntate al catastrofismo, contributo antropogenico e misure politiche volte a combattere il riscaldamento globale.
Molte persone credono ormai che stiamo affrontando una crisi climatica che porterà conseguenze catastrofiche se non agiamo immediatamente. Ecco cosa ne pensa Curry: “L’azione sui cambiamenti climatici è urgente”. “I cambiamenti climatici stanno avvenendo ora”. Queste affermazioni riflettono un’incomprensione dello stato della climatologia e della misura con cui possiamo attribuire conseguenze avverse, come gli eventi meteo estremi, ai cambiamenti climatici causati dall’uomo. Il clima è sempre cambiato e continuerà a cambiare. Gli umani stanno aggiungendo anidride carbonica all’atmosfera, e l’anidride carbonica e altri gas serra hanno un effetto di riscaldamento del clima. Tuttavia, c’è una duratura incertezza oltre questi temi fondamentali e gli aspetti più consequenziali della climatologia sono oggetto di un vigoroso dibattito scientifico: se il riscaldamento dal 1950 è stato dominato da cause umane e come evolverà il clima entro il XXI secolo, sia per cause naturali che umane. Le incertezze sociali annebbiano ulteriormente le questioni del fatto se il riscaldamento sia “pericoloso” e se possiamo permetterci di ridurre radicalmente le emissioni di anidride carbonica”.
“Al cuore del recente dibattito scientifico sui cambiamenti climatici c’è la “pausa” o “iato” del riscaldamento globale, il periodo dal 1998 in cui le temperature globali in superficie non sono aumentate. Lo iato del riscaldamento globale solleva seri interrogativi sul fatto se le proiezioni dei modelli climatici del XXI secolo abbiano grande utilità per i processi decisionali, considerate le incertezze nella sensibilità climatica all’anidride carbonica, alle future eruzioni vulcaniche e all’attività solare e le oscillazioni dei modelli di circolazione oceanica su scale multidecennali e secolari. Un argomento chiave a favore delle riduzioni delle emissioni è la preoccupazione sull’accelerazione dei costi dei disastri meteorologici. L’accelerazione dei costi è associata all’aumento della popolazione e della ricchezza nelle aree vulnerabili e non ad un aumento degli eventi meteo estremi, tanto meno a un qualsiasi aumento che possa essere attribuito ai cambiamenti climatici causati dall’uomo. Lo Special Report on Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation dell’IPCC ha trovato poche prove che supportino un aumento degli eventi meteo estremi che possa essere attribuito all’uomo. Sembra esserci una “amnesia meteorologica” collettiva, in cui il meteo più estremo degli anni ’30 e ’50 sembra essere stato dimenticato”.
“Tuttavia, la premessa dei pericolosi cambiamenti climatici antropogenici è la base per un piano di vasta portata per ridurre le emissioni di gas serra. Gli elementi di questo piano potrebbero essere considerati importanti per le associate ragioni di politica energetica, di economia e/o salute e sicurezza pubblica. Tuttavia, sostenere un’enorme giustificazione scientifica per il piano sulla base del riscaldamento globale antropogenico fa male sia alla climatologia che al processo politico. La scienza non detta alla società quale scelte fare, ma la scienza può valutare quali politiche non funzionano e può fornire informazioni sull’incertezza, che sono fondamentali per il processo decisionale”.
Per quanto riguarda l’IPCC, per il quale parla di “eccessiva sicurezza” nei suoi rapporti sul clima, Curry afferma: “L’IPCC ci ha dato la diagnosi di una febbre planetaria e una prescrizione per il pianeta Terra. Io fornisco una diagnosi e una prescrizione per l’IPCC: paralisi del paradigma, causata dall’eccessiva semplificazione e dalla ricerca di consenso; aggravata e resa permanente da un vizioso effetto positive feedback nell’interfaccia climatologia-politica. L’IPCC deve togliersi di mezzo in modo che scienziati e decisori politici possano far meglio il loro lavoro. La diagnosi di paralisi del paradigma sembra fatale nel caso dell’IPCC. Dobbiamo sopprimere l’IPCC il prima possibile per il bene di tutti noi, che sta cercando di infettare con la sua malattia”.
Sul futuro e le proiezioni catastrofiche sul riscaldamento globale e i suoi effetti, Curry sostiene: “Il singolo impatto avverso che è inequivocabilmente associato al riscaldamento (qualsiasi sia la causa) è l’aumento del livello del mare. Dal 1900, il livello globale del mare è salito di circa 20cm. Ci sono sostanziali variazioni temporali e spaziali dell’aumento del livello del mare, associate ai modelli di circolazione oceanica su grande scala, al rimbalzo glaciale, al meteo e alle maree. Le proiezioni dell’aumento del livello del mare di alcuni metri entro il 2100 richiedono: scenari non plausibili della quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, modelli climatici che abbiano una sensibilità al riscaldamento incredibilmente alta per la quantità di CO? nell’atmosfera e l’evocazione di scenari di crollo della calotta glaciale dell’Antartide occidentale associati a processi speculativi e poco compresi”.
“Il limite di 2°C si riferisce alle previsioni per lo scioglimento a lungo termine (molti molti secoli) delle calotte polari di Groenlandia e Antartide. La questione del limite dei 2°C è meglio descritta come “diabete planetario” che come estinzione o altre terribili descrizioni. Un altro modo di pensare al cosiddetto limite dei 2°C è attraverso l’analogia ad un limite di velocità. Se il limite di velocità è 65 miglia orarie, superarlo di 10 o persino 20 miglia orarie non garantisce di provocare un incidente, ma se si supera il limite di molto, il rischio di un incidente fatale certamente aumenta. Il succo è che queste scadenze sono prive di significato. Anche se abbiamo fiducia nel segno dei cambiamenti di temperatura, non abbiamo idea di quale sarà la loro portata. Oltre alle incertezze nelle emissioni e nel ciclo del carbonio della Terra, stiamo ancora facendo i conti con un fattore di 3 o più di incertezza nella sensibilità del clima della Terra alla CO? e non abbiamo idea di come la variabilità climatica naturale (sole, vulcani, oscillazione degli oceani) si svilupperà nel XXI secolo. E anche se avessimo una notevole sicurezza nella quantità di riscaldamento globale, non abbiamo ancora afferrato come questo cambierà gli eventi meteo estremi. Per quanto riguarda specie ed ecosistemi, l’utilizzo e lo sfruttamento della terra è un problema molto più grande. Le fonti di energia più pulite hanno diverse trame di giustificazione, ma pensare che far passare le emissioni di CO? a zero entro il 2050 migliorerà il meteo e l’ambiente entro il 2100 è una chimera. Se queste riduzioni avvengono a spese dello sviluppo economico, allora la vulnerabilità agli eventi meteo estremi aumenterà”.
Molti scienziati nel mondo sostengono che non c’è alcuna emergenza climatica, ma vengono spesso ignorati dal grande pubblico e considerati “negazionisti”. In un suo articolo per Fox News, Curry ha parlato della preoccupante tendenza ad emarginare gli scienziati che condividono le sue stesse idee ed opinioni riguardo il riscaldamento globale, quegli stessi “scienziati che stanno facendo esattamente quello che ci aspettiamo dai ricercatori: valutare criticamente le evidenze e pubblicare quel lavoro nella letteratura scientifica”, ha scritto. “Le prospettive delle minoranze hanno un ruolo importante e rispettato da svolgere nel progresso della scienza, come mezzo per testare idee e spingere in avanti la frontiera della conoscenza. È importante per gli scienziati coinvolgere il pubblico e lavorare con i decisori politici per valutare gli impatti e le conseguenze indesiderate delle opzioni politiche. Tuttavia, è diventato “di moda” per gli scienziati accademici difendere certi risultati politici, senza avere molta comprensione dei processi politici, dell’economia o dell’etica di tale difesa. Noi cerchiamo soluzioni che possano raccogliere un’importante massa di supporto. Non cerchiamo di criminalizzare i nostri opponenti politici e soprattutto non dovremmo cercare di criminalizzare gli scienziati che hanno un’opinione differente”, conclude l’esperta.
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