Nelle carceri italiane aumentano i casi di tubercolosi mentre sono in forte calo i detenuti positivi all’Hiv, ma l’epatite C resta l’infezione maggiormente presente anche se, grazie alle nuove cure, i detenuti sottoposti a trattamenti, al pari della popolazione generale, raggiungono la guarigione in oltre il 95% dei casi. Il bilancio della situazione sanitaria nelle carceri del nostro Paese arriva dal XX Congresso della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), Agorà penitenziaria 2019, intitolato ‘Il carcere è territorio’ e in corso fino a domani a Milano, presso l’Auditorium Testori di Palazzo Lombardia, con 200 esperti provenienti da tutta Italia. L’appuntamento è organizzato in collaborazione con Regione Lombardia e Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
Dunque, un dato positivo si registra sul fronte dell’Hiv/Aids: la prevalenza di detenuti sieropositivi al virus è passata dall’8,1% del 2003 all’1,9% attuale. Questo avviene in modo particolare – spiegano gli esperti – tra i tossicodipendenti che rappresentano oltre un terzo della popolazione detenuta.
Secondo i dati ufficiali del ministero della Giustizia – ricorda una nota – un terzo della popolazione carceraria è straniera e, con il collasso di sistemi sanitari esteri, con il movimento delle persone, si riscontrano tassi di tubercolosi latente molto più alti rispetto alla popolazione generale, con una differenza notevole: a fronte di Tbc latenti, cioè di portatori non malati pari all’1-2% fra tutti gli italiani, nelle strutture penitenziarie la percentuale sale al 25-30%, che aumenta a oltre il 50% se si considera solo la popolazione straniera.
“Anche se stiamo parlando non di malattia attiva, ma solo di contatti con il patogeno – conclude Babudieri – un detenuto su due risulta essere tubercolino-positivo e questo sottintende una maggiore circolazione del bacillo tubercolare in questo ambito. E’ quindi indispensabile effettuare controlli estesi in questa popolazione, perché il rischio che si possano sviluppare ceppi multiresistenti è molto alto, con conseguente aumento della letalità nei pazienti in cui la malattia si sviluppa in modo conclamato”.