Superbatteri killer, in Italia 11mila morti l’anno

Dopo il debutto a Udine, i numeri dell'emergenza 'superbatteri' - con "decessi pari al doppio delle morti legate a incidenti stradali" - sono risuonati anche al Pirellone
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Italiamaglia nera‘ in Europa per le infezioni da batteri resistenti agli antibiotici. Se le stime parlano di oltre 670mila casi in un anno nel Vecchio Continente, con più di 33mila morti, “la situazione peggiore in assoluto è stata osservata in Italia, con oltre 200mila casi e quasi 11mila decessi stimati“. Lo ricorda Massimo Galli, presidente della Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit), intervenuto a Milano alla tappa lombarda di ‘Progetto Icarete’: 12 incontri regionali per un confronto tra massimi esperti su infezioni ospedaliere e antibiotico-resistenza. Dopo il debutto a Udine, i numeri dell’emergenza ‘superbatteri’ – con “decessi pari al doppio delle morti legate a incidenti stradali” – sono risuonati anche al Pirellone.
Come invertire la tendenza? “Applicando con convinzione il Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza (Pncar) con uno sforzo comune in tutte le Regioni – ammonisce Galli, direttore della Struttura complessa Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano – A partire da un atto molto semplice: il rigoroso rispetto delle regole sul lavaggio delle mani da parte degli operatori sanitari, su cui per ora non occupiamo certamente i primi posti in Europa“.
Il quadro è allarmante, conferma, e “si collocano in questo scenario i 102 casi, segnalati tra il novembre 2018 e il 22 settembre, di infezioni causate da enterobatteri produttori della metallo-beta-lattamasi New Delhi, che conferisce resistenza ai carbapenemi, una classe di antibiotici di fondamentale importanza nel trattamento di infezioni gravi. Un’accelerazione della diffusione di questo tipo di resistenza batterica ha già provocato, secondo i dati dell’Agenzia regionale di sanità toscana, almeno 38 decessi“.
L’antibiotico-resistenza è un’emergenza globale e pertanto si devono prevedere interventi coordinati tra tutti coloro che partecipano in modo diretto o indiretto al fenomeno – avverte Pierangelo Clerici, presidente della Federazione italiana delle società di medicina di laboratorio (FismeLab), direttore del Dipartimento di Medicina di laboratorio e biotecnologie diagnostiche dell’Asst Ovest Milanese – Sicuramente l’approccio One Health, che prevede come cardine l’utilizzo consapevole degli antibiotici sia a livello veterinario che umano, rappresenta la strategia vincente come evidenziato anche nel Pncar“.
Clerici sottolinea il “ruolo determinate svolto dai microbiologi con il costante monitoraggio dei microrganismi isolati da pazienti e la determinazione delle resistenze agli antibiotici“, e auspica “lo sviluppo di nuovi antibiotici che però non devono essere considerati armi totipotenti – precisa – ma il cui utilizzo deve essere mirato dopo un’attenta valutazione clinica e microbiologica“.
Al centro del Progetto Icarete – promosso da Motore Sanità e realizzato con il contributo non condizionante di Menarini – ci sono più in generale le infezioni correlate all’assistenza (Ica), acquisite cioè durante il ricovero o in altri contesti sanitari simili. I casi continuano a crescere in quasi tutti i Paesi europei, con un incremento medio annuo del 5%. E in Italia si contano tra 450-700mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale, con un risultato ritenuto dagli esperti “fra i peggiori d’Europa“.
Purtroppo i numeri sono ancora preoccupanti – conferma Galli – In una stima dell’Healthcare-Associated Infections Prevalence Study Group, riferita agli anni 2016 e 2017, e basata su 310.755 pazienti ricoverati in 1.209 ospedali di 28 Paesi europei e su 117.138 residenti in 2.221 Residenze sanitarie per anziani (Rsa) di 23 Paesi, le infezioni acquisite in ospedale avrebbero riguardato il 6,5% dei ricoverati in ospedale e il 3,9% dei residenti in Rsa, per un numero stimato di infezioni giornaliere pari a 98.166 nei primi e a 129.940 nei secondi, e un totale di quasi 9 milioni di infezioni ospedaliere all’anno. I casi con infezioni da microrganismi resistenti sarebbero stati il 31,6% negli ospedali e nel 28% nelle Rsa“.

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