In Italia vivono circa 150mila persone con la mutazione di due geni (BRCA 1 e/o BRCA 2), che determina una predisposizione a sviluppare alcuni tipi di tumore (in particolare della mammella, ovaio, pancreas e prostata) più frequentemente rispetto alla popolazione generale. Il rischio di trasmissione dai genitori ai figli delle mutazioni BRCA è del 50%. La maggior parte di questi cittadini non sa di essere portatore della mutazione e, quindi, del rischio oncologico correlato, perché i test genetici per individuarla non sono ancora abbastanza diffusi, soprattutto fra le persone sane. Per estendere a questi cittadini programmi mirati di prevenzione è necessario che, in caso di individuazione dell’alterazione genetica in un paziente, il test sia effettuato anche sui familiari sani per poter avviare un percorso di prevenzione. Il punto critico è la mancata adozione in maniera uniforme sul territorio nazionale dei Protocolli di Diagnosi, Trattamento e Assistenza per Persone ad Alto Rischio Eredo-Familiare (PDTA AREF), oggi presenti solo in 8 Regioni (Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Veneto, Campania, Toscana, Sicilia, Piemonte). Soltanto 7 hanno però deliberato anche l’esenzione dal pagamento del ticket per le prestazioni sanitarie previste dai protocolli di sorveglianza (Emilia-Romagna, Lombardia, Liguria, Campania, Toscana, Sicilia e Piemonte). Una situazione a macchia di leopardo “fotografata” al XXI Congresso Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), in corso a Roma.
“Gli studi sui geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano la frontiera più avanzata nel campo dell’oncogenetica e la punta di diamante della ‘medicina di precisione’ nella ricerca e sviluppo di nuove terapie personalizzate su base molecolare – afferma Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. Da tempo vi sono evidenze sul ruolo dell’alterazione delle due proteine nei tumori della mammella e dell’ovaio, e oggi si stanno aprendo prospettive importanti che coinvolgono il carcinoma del pancreas, uno dei più difficili da trattare”.
Nel 2019, in Italia, sono stimati 53.500 nuovi casi di carcinoma della mammella, il 5-7% è legato a fattori ereditari, il 25% dei quali riferibile a una mutazione BRCA (936). Di 5.300 nuove diagnosi di tumore dell’ovaio stimate nel 2019 nel nostro Paese, il 15% è riconducibile ad alterazioni in questi stessi geni (795). E, nel complesso, fino al 4-5% di tutti i pazienti con carcinoma pancreatico presenta una variante patogenetica di BRCA1 o BRCA2 (675 casi su 13.500 previsti nel 2019). In famiglie con tumori della mammella o dell’ovaio associati a tumori del pancreas, la presenza di mutazione BRCA può arrivare fino al 25%.
“La sfida è estendere lo screening con il test genetico a tutte le persone sane – spiega Antonio Russo, membro del Direttivo Nazionale AIOM e Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Palermo -. L’esecuzione dell’esame al momento della diagnosi permette di identificare la mutazione BRCA nei pazienti colpiti da queste neoplasie e, a cascata, di individuare tempestivamente i familiari portatori della stessa mutazione, prima che sviluppino un carcinoma correlato alla sindrome ereditaria della mammella e dell’ovaio. Proprio in queste due neoplasie è possibile attuare efficaci strategie di riduzione del rischio, che spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica. In particolare, l’intervento di mastectomia bilaterale (rimozione chirurgica di entrambe le mammelle) è in grado di ridurre di circa il 90%, nelle donne sane, il rischio di sviluppare in futuro un tumore mammario. Dall’altro lato, l’asportazione chirurgica di tube ed ovaie (annessiectomia profilattica bilaterale) può prevenire la quasi totalità (95%) dei tumori ovarici su base genetico-ereditaria e contestualmente ridurre di oltre il 50% il rischio di carcinoma mammario. Quest’ultimo tipo d’intervento chirurgico va programmato con la donna portatrice di mutazione BRCA in considerazione dell’età, del programma familiare e del tipo di gene BRCA coinvolto: nello specifico, va suggerito alle donne che hanno già avuto gravidanze o che siano in menopausa”
“Il test genetico, a fini prognostici e predittivi di risposta alle terapie, viene eseguito su sangue o su tessuto tumorale – sottolinea Laura Cortesi, Direttore Genetica Oncologica presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria del Policlinico di Modena -. Può essere prescritto dal genetista, dall’oncologo e dal ginecologo con competenze oncologiche, i quali diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati. Il test BRCA su sangue periferico (germinale) per la ricerca di varianti costituzionali (ereditabili) è eseguito in molti laboratori del nostro Paese attraverso metodologie ampiamente validate. Anche il test BRCA su tessuto tumorale (test somatico) è oggi effettuabile in numerose strutture ed è in grado di evidenziare sia le varianti acquisite per mutazione somatica sia quelle ereditabili. Indipendentemente dal tipo di campione utilizzato (sangue o tessuto), l’esame richiede standard qualitativi da rispettare ed esperienza di analisi ed interpretazione. È preferibile eseguire in prima istanza, se possibile, la ricerca delle mutazioni di BRCA1/2 su tessuto tumorale, perché il test BRCA su sangue periferico è in grado di evidenziare soltanto le varianti ereditarie. Pertanto, se il test su tessuto tumorale risulta positivo, deve essere poi eseguito anche su sangue periferico per verificare se si tratta di una variante ereditabile”. AIOM, in collaborazione con le principali società scientifiche coinvolte in questo campo della ricerca, ha stilato le Raccomandazioni per l’implementazione del test BRCA nelle pazienti con carcinoma mammario, ovarico (e nei familiari a rischio elevato di neoplasia) e nei pazienti con tumore del pancreas.
“L’individuazione della mutazione in un paziente di nuova diagnosi condiziona anche la scelta della terapia – continua la Presidente Gori -. Studi clinici hanno evidenziato che le donne con tumore dell’ovaio portatrici di mutazione BRCA presentano una maggiore sensibilità a combinazioni di chemioterapia contenenti derivati del platino e a terapie mirate che ‘sfruttano’ il difetto molecolare indotto dalla mutazione per potenziare l’efficacia delle cure. Si tratta di molecole che fanno parte della classe dei PARP inibitori, indicate nelle pazienti che hanno risposto alla chemioterapia a base di platino. I PARP inibitori sono efficaci anche nel tumore della mammella in fase metastatica con mutazione BRCA. E per la prima volta nei tumori del pancreas è stato stabilito un vantaggio con un nuovo farmaco biologico (appartenente alla classe di PARP inibitori) sulla base di una mutazione genetica-molecolare, la variazione di BRCA”.
“Vogliamo sensibilizzare tutti pazienti che abbiano ricevuto la diagnosi di carcinoma della mammella, ovaio o del pancreas sull’importanza di accedere al test per individuare eventuali mutazioni dei geni BRCA e di effettuare una consulenza oncogenetica – conclude Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Quindi il test BRCA deve essere offerto ai pazienti colpiti da queste neoplasie sin dalla diagnosi. Ma il ritardo nell’adozione dei Protocolli di Diagnosi, Trattamento e Assistenza per Persone ad Alto Rischio Eredo-Familiare su tutto il territorio determina gravi conseguenze: ad esempio solo il 65% delle donne che riceve la diagnosi di tumore dell’ovaio esegue il test. Nelle Regioni che non hanno ancora adottato alcuna misura vi sono inoltre difficoltà di accesso ai test genetici per i familiari sani, scarsa informazione sulle opzioni chirurgiche oncologiche e profilattiche per le persone malate e, soprattutto, per quelle sane”.