Il trend delle nuove diagnosi di infezione da HIV nel nostro Paese segna un significativo calo: nel 2018 sono state 2.847 (circa -20% rispetto al 2017, -30% negli ultimi 10 anni). Questo costituisce certamente un dato positivo anche se resta viva l’attenzione sul fenomeno delle diagnosi tardive, ovvero delle diagnosi che avvengono a distanza di anni dal momento del contagio, che nel 2018 hanno rappresentato una quota rilevante delle nuove diagnosi (<50%). Nel 2018, la maggioranza delle nuove diagnosi era attribuibile a rapporti sessuali non protetti. Occorre quindi mantenere sempre alta l’attenzione sia verso stili di vita improntati alla maggiore sicurezza per sé e per gli altri inconsapevoli, sia la sensibilizzazione sul ricorso ai test nei casi in cui sussista un minimo dubbio di aver contratto l’infezione.
È questo lo spirito con il quale AMCLI – Associazione Italiana Microbiologi Clinici Italiani si appresta a celebrare la giornata mondiale contro l’AIDS, in programma il 1° dicembre prossimo.
Si stima che le persone infettate dal virus HIV siano a livello mondiale 37.9 milioni (1,7 milioni infettati nel 2018), di cui 130mila in Italia. L’età media delle persone neodiagnosticate prosegue il trend in aumento osservato negli ultimi anni: nel 2018 la mediana è stata di 38-39 anni, con la classe 25-29 anni maggiormente rappresentata; i maschi continuano ad essere predominanti (85,6% nel 2018).
L’Italia è vicina al raggiungimento dell’obiettivo UNAIDS “90-90-90” che, entro il 2020, punta a diagnosticare il 90% di tutti i casi di HIV, ad assicurare almeno al 90% di tutte le persone diagnosticate l’accesso alle terapie ART e a far sì che il 90% di loro raggiunga la soppressione della carica virale. I dati relativi al 2018 indicano infatti, per l’Italia, le seguenti percentuali: 92-87-87. Tuttavia, il dato realmente allarmante è che in Italia circa l’8% delle persone infette è inconsapevole del proprio stato, e a livello mondiale questa quota è ancora maggiore, superando il 20 %. “Questo fenomeno è dovuto ad una scarsa conoscenza ed attenzione ai rischi di questa infezione e, soprattutto, dei modi in cui si acquisisce” ricorda Pierangelo Clerici,Presidente AMCLI e Direttore dell’Unità Operativa di Microbiologia dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Ovest Milanese.
In merito al nuovo sottotipo, primo da 19 anni, identificato nelle scorse settimane, secondo AMCLI si tratta di una acquisizione rilevante, poiché la diversità genetica dell’HIV ha implicazioni diagnostiche in quanto i saggi disponibili potrebbero non essere adeguati per i sottotipi nuovi.
“La diversità genetica del virus è ancora maggiore di quanto si pensasse, e ancora oggi si scoprono nuove varianti. Quello recentemente identificato è un sottotipo raro, la cui origine probabilmente risale all’inizio della pandemia, e che ha circolato in Africa per almeno un ventennio; poco si sa ancora sulla sua reale diffusione attuale. La cosa importante è che questo sottotipo non si sottrae al riconoscimento da parte dei test diagnostici disponibili, e quindi la possibile sottostima della sua circolazione non rappresenta un reale problema. La sorveglianza molecolare è cruciale per seguire l’evoluzione di virus che interessano una così larga fetta di umanità e sono diffusi in tutto il globo terrestre. Il successo nella identificazione del nuovo sottotipo è una testimonianza dei progressi delle moderne tecniche utilizzate nella caratterizzazione molecolare dei microrganismi. Sono ormai più di 10 anni che il sequenziamento di ultima generazione viene applicato all’HIV, e oggi è possibile ottenere l’intera sequenza del genoma virale partendo direttamente dal campione clinico, senza necessità di avere l’isolato in coltura, esigenza che finora ha rappresentato un limite in quanto la coltivazione dell’HIV richiede strutture dotate di particolari equipaggiamenti” ricorda Maria Rosaria Capobianchi, Membro del Consiglio Direttivo dell’AMCLI e Direttore dell’Unità Operativa di Virologia e Laboratori di Biosicurezza dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “L. Spallanzani” di Roma.
Dal punto di vista del trattamento, sono stati compiuti ulteriori progressi nella terapia farmacologica oggi in grado, in un numero ampio di pazienti, di bloccare la proliferazione del virus.
La definitiva affermazione del concetto U=U, supportata da ampi studi in diversi contesti e ratificata in una consensus di esperti, conferma che le persone con l’HIV che seguono correttamente una terapia antiretrovirale e che abbiano una carica virale nel sangue non rilevabile da almeno sei mesi, non trasmettono il virus ai loro partner o alle loro partner.
“L’impegno della comunità dei Microbiologi clinici italiani è costante nel contrasto alla diffusione dell’HIV. In particolare in questo frangente, ove innanzi ai positivi risultati ottenuti dalla farmacologia e dallo sviluppo di efficaci terapie antivirali, si assiste ad una maggiore disattenzione da quelle che sono elementari regole di sicurezza nella propria vita sessuale” conclude Pierangelo Clerici.