Arno, il geologo: “Alluvioni diminuite nei secoli grazie al riscaldamento globale e allo sviluppo delle attività umane, ma la pericolosità è aumentata a dismisura”

"Se è vero che la pericolosità degli eventi - ovvero la probabilità di accadimento - si è significativamente ridotta, il rischio - cioè il danno atteso - è notevolmente aumentato"
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L’ultima ondata di maltempo che ha interessato l’Italia nel weekend, ha provocato anche la piena del fiume Arno, che ha messo in allerta Firenze e Pisa. Nicola Casagli, professore ordinario di Geologia applicata presso l’Università degli Studi di Firenze, in un post su Facebook ha parlato del principale fiume della Toscana, delle alluvioni che ha provocato nel corso del tempo e delle differenze tra passato e presente.

La prima alluvione documentata dell’Arno avvenne nel maggio del 217 a.C. ed è rimasta nota perché Annibale vi rimase intrappolato, insieme al suo esercito, alla cavalleria e all’ultimo elefante sopravvissuto. A quei tempi la pianura di Firenze-Prato-Pistoia era una sorta di grande cassa di espansione completamente allagabile, anche perché non c’erano ancora né Firenze, né Prato né Pistoia. Gli astuti Etruschi si erano insediati sulla collina di Fiesole proprio per evitare problemi col bizzoso fiume. In quegli anni il clima doveva essere piuttosto caldo, tanto da aver permesso allo stesso Annibale di valicare le Alpi l’anno prima nel mese di ottobre.

La successiva alluvione ben documentata risale al 4 novembre 1177 e non perché non se ne verificarono nel millennio intercorso, ma forse proprio perché ne avvenivano troppe per cui non facevano più notizia. Nel ‘700 Ferdinando Morozzi, lettore di matematiche della flotta granducale e ingegnere delle regie possessioni, scrisse un trattato che ripercorre la storia delle inondazioni dell’Arno dal 1177 al 1761.

Nei sette secoli di storia considerati, Morozzi riporta 54 alluvioni (in media una ogni 11 anni), di cui sei catastrofiche (1333, 1547, 1557, 1589, 1740, 1758), 24 definite maggiori e 24 classificate come minori. Quindici alluvioni, di cui una sola catastrofica, si sono verificate nel Periodo Caldo Medievale, fra il XII e il XIV secolo. Ben 39, di cui 5 catastrofiche, hanno invece caratterizzato la Piccola Età Glaciale nei secoli dal XV al XVIII. A partire dal XIX secolo sembra che sia successo un miracolo: in due secoli solo tre alluvioni, delle quali due catastrofiche (nel 1844 e nel 1966) e una forse definibile maggiore (nel 1864) estrapolando il linguaggio di Morozzi. In pratica si passa da una probabilità di accadimento (ovvero pericolosità) decennale a una centenaria in brevissimo tempo.

Pisa

Tale situazione è comune a praticamente tutti i fiumi italiani e a gran parte di quelli europei. Negli ultimi due secoli della nostra storia si sono infatti verificati tre fatti che hanno contribuito a ridurre drasticamente la pericolosità delle alluvioni. Il primo è la fine della Piccola Età Glaciale e il miglioramento climatico determinato dal riscaldamento globale. Non tutti gli effetti di quest’ultimo sono negativi e dopo il 1850 le temperature sono salite e le piogge sono diminuite.

Il secondo motivo è la drastica riduzione del disboscamento che nei precedenti secoli era la prima fonte di approvvigionamento energetico e di materiali per l’edilizia e per l’industria. Negli ultimi due secoli si è diffuso l’uso del carbone e degli idrocarburi per la produzione di energia, del cemento per l’edilizia e di nuovi materiali industriali. L’ultima fase di estensivo disboscamento in Italia è riconducibile al periodo della Prima Guerra Mondiale. Contemporaneamente, su per giù dall’inizio del novecento, sono state intraprese anche grandi opere di riforestazione e di sistemazione idraulica e forestale.

Il terzo motivo, forse il più incisivo, sono le escavazioni in alveo. Il marcato incremento demografico nel periodo ha trainato l’industria edilizia che, nell’era del calcestruzzo e del cemento armato, ha alimentato una forte richiesta di inerti, ovvero di sabbia e ghiaia. Questi materiali sono stati prelevati dai letti dei fiumi, con continue escavazioni, che hanno allargato ed approfondito gli alvei consentendo il transito di maggiori portate di piena. L’effetto collaterale negativo di questi tre fattori combinati insieme è l’erosione dei litorali e il progressivo arretramento delle spiagge, problemi che, come noto, affliggono oggi le nostre aree costiere.

Firenze

Quindi oggi stiamo meglio? Certo che no, stiamo molto peggio in termini di rischio. Se è vero che la pericolosità degli eventi – ovvero la probabilità di accadimento – si è significativamente ridotta, il rischio – cioè il danno atteso – è notevolmente aumentato. Negli ultimi due secoli è infatti enormemente aumentata l’esposizione al rischio, cioè il numero e il valore dei beni che possono subire danno in caso di evento, ed è purtroppo anche aumentata la loro vulnerabilità. Molti più manufatti e costruzioni sono presenti oggi nei nostri fiumi, Arno incluso, ed essi sono stati spesso realizzati senza nemmeno ipotizzare la possibilità di alluvione. Nei secoli del grande freddo e delle grandi piogge, quando l’Arno esondava praticamente ogni decennio, 7 o 8 volte nella vita media di un uomo, tutti stavano più attenti ed avevano una forte percezione del problema.

Oggi che le alluvioni avvengono di media una volta ogni cento anni, nessuno ci pensa più e, peggio, nemmeno ci vuole pensare. Per questo si fanno scelte sbagliate e scorrette per la convivenza con un fiume che non fa altro che il suo mestiere naturale. Si stava meglio quando si stava peggio. Questo è uno dei tanti paradossi del rischio”, ha scritto Casagli.

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