“Gli eventi accaduti nei giorni scorsi non sono più emergenze, ma episodi sempre più frequenti. Il problema, a questo punto, sta nel sapere come comportarsi, ovvero cosa fare prima e durante“. Così ai microfoni di MeteoWeb, Antonello Fiore, Presidente nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale, parlando delle alluvioni, delle inondazioni e delle frane che in questi giorni hanno piegato l’Italia, da nord a sud.
Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico e i pericoli che corrono i comuni italiani, a livello idraulico e per il rischio frane, “secondo il rapporta Ispra 2018 – precisa Fiore – a livello nazionale su 7983 comuni, ben 7275, ovvero il 91%, presenta nel proprio territorio superfici a pericolosità idraulica e a rischio frane. Viviamo dunque in un territorio fragile, che presenta criticità da nord a sud. Ma non solo, perché a questo dato deve essere associate anche il rapporto CNR Irpi, in merito a frane e inondazioni. Ebbene, se si guardano quei dati i numeri sono spaventosi: dal 2000 al 2018 ci sono stati 417 morti, 21 dispersi, 669 feriti, e 159.184 evacuati e senzatetto. E’ assurdo considerando che anche una sola singola vita deve essere tutelata e preservata quanto più possibile”.
Che fare dunque? Analizzare il problema, innanzitutto. “La questione si deve porre su diversi ordini – precisa il geologo – innanzitutto è necessario essere consapevoli che il territorio italiano è fragile da un punto di vista ambientale ed idrogeologico; poi è indispensabile prendere atto del fatto che dal secondo dopoguerra abbiamo assunto un atteggiamento egoistico, occupando spazi che dovevano essere lasciati liberi, per il deflusso delle acque o per fenomeni franosi, quindi tutto ciò ha portato alla situazione attuale. Inoltre, ma non per ultimo, abbiamo una rete infrastrutturale vetusta, che necessita di manutenzione e in molti casi anche di sostituzione“.
“E’ un problema culturale, dunque. Abbiamo pensato di poter fare tutto ciò che volevamo, ma non abbiamo pensato che le opere si sarebbero intersecate con i normali fenomeni naturali. Ora, per rimediare, non bastano più dei semplici interventi strutturali, anche perché, visti i fondi necessari per portarli a termine, si potranno completare solo fra 30 o 40 anni. E’ dunque necessario individuare delle priorità e concentrarsi su quelle. C’è la necessità di rivedere il nostro approccio all’uso del suolo, dobbiamo contenerne il consumo, perché le aree che andiamo a impermeabilizzare influiscono sul deflusso dell’acqua, con le conseguenze che sono ora sotto gli occhi di tutti“.
“Quello che dobbiamo fare – spiega Fiore – non è solo mitigare, ma anche dedicarci alla manutenzione e soprattutto alla progettazione, che deve necessariamente avere un livello qualitativo molto alto e non essere assegnata al ribasso. E’ fondamentale poi sensibilizzare la popolazione all’autoprotezione: i cittadini devono avere consapevolezza dei pericoli che corrono, perché sono ancora troppi quelli che restano bloccati nei sottopassi o che attraversano ponti chiusi. Diventa dunque necessario operare anche in termini di cultura, con la pianificazione, con opere sicure, con l’educazione all’autoprotezione fin dalla scuola dell’infanzia, con corsi di prevenzione civica e ambientale, per spiegare la fragilità del territorio. E’ necessario, in sostanza, tutelare l’ambiente“.
“E’ importante infine – conclude l’esperto – non utilizzare il cambiamento climatico come un alibi per continuare a maltrattare il nostro territorio. Ci sono numerosi segnali che arrivano dal cambiamento climatico in corso, ma non per questo si può continuare a fare i propri interessi senza tenere presente le caratteristiche geomorfologiche del territorio”.