In seguito al terremoto di magnitudo 6.4 che ha colpito l’Albania nella notte tra 25 e 26 novembre, si era parlato di rischio tsunami in Albania e Montenegro, e in seconda battuta anche per l’Italia. L’allerta è stata poi cancellata poiché il livello dei mari non destava preoccupazione. Ma a ben vedere, quell’allarme che il Centro tsunami dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia aveva diramato alla Protezione Civile non aveva ragione di esistere, perché, come vedremo in questo articolo, il terremoto avvenuto in Albania non avrebbe potuto generare onde di maremoto rilevanti verso l’Italia.
In uno studio sugli scenari di pericolo di tsunami nell’Adriatico¹, gli autori M. Paulatto, T. Pinat e F. Romanelli (Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Trieste) hanno sottolineato che “il fenomeno dello tsunami è principalmente concentrato nei settori oceanici, ma può anche verificarsi nei piccoli bacini come il Mar Adriatico. Qualche volta, nei secoli scorsi, è stata registrata la presenza di grandi onde sulle coste adriatiche, quindi questo suggerisce l’idea di valutare quale potrebbe essere la massima ampiezza raggiunta da un possibile evento di tsunami futuro”. L’obiettivo degli esperti è stato quello di “estendere lo studio e la modellazione della generazione e propagazione di tsunami nel caso di un bacino piccolo e poco profondo, il Mare Adriatico, e di valutare il potenziale del pericolo tsunami dell’area di studio, con il calcolo di una serie di scenari di pericolo”, seguendo la metodologia NDSHA per la loro definizione.
“Nonostante il fatto che la maggior parte degli tsunami di origine sismica sia generata nei settori oceanici, i bacini più piccoli a volte sperimentano questo fenomeno. I grandi eventi di tsunami richiedono l’esistenza di uno spesso strato d’acqua presente solo nei settori oceanici; tuttavia, in tempi storici, anche nel Mediterraneo si sono verificati molti tsunami, indicati nelle cronache del tempo col termine maremoti, a volte di intensità distruttiva. In particolare, concentrandosi sul settore dell’Adriatico, dove la sismicità locale non è forte (solitamente inferiore a magnitudo 7), e la profondità dell’acqua è solitamente molto piccola (inferiore a 400 m), negli ultimi 2000 anni sono stati segnalati circa 60 tsunami”, riportano gli autori.
I risultati dello studio suggeriscono “che è possibile attendersi uno tsunami con un’ampiezza massima fino a qualche metro anche nel Mare Adriatico, in accordo con una serie di eventi storici riportati nei cataloghi. Per le fonti in mare aperto, le ampiezze massime degli tsunami coincidono con la magnitudo più alta dell’evento generatore e con la minima profondità focale. Una fonte nell’entroterra, ma in prossimità della costa, è meno efficiente nell’effetto di generazione di tsunami rispetto ad un’analoga fonte in mare aperto. La massima altezza dello tsunami è, di regola, causata dalla fonte più vicina alla costa con la magnitudo più alta. Anche lo stile del sistema di faglie locale, la profondità focale e lo spessore dello strato d’acqua circostante influenzano la generazione e la propagazione dello tsunami. Nell’Adriatico, l’area più incline a generare tsunami sembra essere la costa orientale del bacino, dove la placca adriatica è “tamponata” dalle Dinaridi e dalle Albanidi. Altre aree dove può verificarsi questo fenomeno sono il Gargano, le coste orientali del Centro Italia e le coste italiane della parte settentrionale del bacino”.
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“È stato preso in considerazione, inoltre, che anche se la sismicità nell’area adriatica non è alta, la marea è in media il doppio di quella del Mediterraneo e le coste sono generalmente molto basse. In altre parole, una modesta onda di tsunami di un paio di metri potrebbe sovrapporsi ad un’alta marea nell’ordine del metro e quindi causare grandi danni, se non la perdita di vite umane, in un ampio numero di insediamenti urbani costieri”, conclude lo studio. Questo studio pionieristico è stato confermato dai risultati pubblicati successivamente da Tiberti et al.²
Coste adriatiche del Centro Italia
In particolare, per quanto riguarda “le coste adriatiche dell’Italia centrale, da Ravenna a San Benedetto del Tronto, la sismicità è determinata dalla subduzione della placca adriatica sotto l’Appennino settentrionale. I meccanismi focali sono principalmente thrust e strike-slip, con profondità focale compresa tra 10 e 25km. La massima magnitudo riportata sui cataloghi storici è M=6.0. Per le simulazioni sono stati scelti valori di magnitudo di 6.0, 6.5 e 7.0. I 3 valori di profondità focale utilizzati nei calcoli sono 10, 15 e 25km. La posizione dell’epicentro rappresentativo utilizzata per la modellazione è scelto in mare aperto, al punto di coordinate 43.65° N, 13.55° E, in corrispondenza dell’epicentro del terremoto del 1972 di magnitudo 5.1, a circa 10km dalla costa di Ancona. Lo strato liquido sopra la fonte è spesso 50 metri. I siti dove è calcolato lo tsunamigramma sono scelti in corrispondenza delle città di Durazzo, Ortona, Venezia e Zara”.
Secondo i mareogrammi sintetici elaborati (figura a lato), per un terremoto di magnitudo 6.0 con profondità focale di 10km, si avrebbe un ampiezza dell’onda di tsunami inferiore a 0,8cm ad Ortona e di 0,4cm a Venezia, “non tale da rappresentare un pericolo rilevante”, scrivono gli autori.
Gargano
Gli esperti hanno anche analizzato la zona che “include il Gargano dal confine tra Puglia e Molise fino a Zapponeta, a sud di Manfredonia, e le isole Tremiti. La sismicità è di tipo intraplacca. Il meccanismo focale tipico è dip-slip, la profondità focale è compresa tra 10 e 30km. La magnitudo storica massima riportata sui cataloghi dei terremoti è M=7, ma di solito non supera M=6.0”. Questa zona, sottolineano gli autori, “è di particolare interesse perché include lo tsunami più intenso mai testimoniato nell’intero settore adriatico. Nel 1627, un terremoto con epicentro in Capitanata ha provocato uno tsunami che ha colpito gravemente le coste del Gargano. Secondo i dati disponibili, questo è stato lo tsunami più grande nell’Adriatico. La posizione dell’evento è ancora causa di controversia: la maggior parte degli studi fissa l’epicentro all’interno della costa, altri al largo. Per il caso in mare aperto, i valori scelti per la magnitudo sono 6.0, 6.5 e 7.0. I valori studiati di profondità focale sono di 10, 20 e 30km. L’epicentro rappresentativo è fissato vicino alle isole Tremiti, nel punto di coordinate 42.10° N, 15.60° E, in corrispondenza dell’epicentro del terremoto del 1908 di magnitudo 4.4, a circa 20km dalla costa del Gargano. Lo strato liquido sopra la sorgente sismica è spesso 100m. I siti di calcolo sono scelti in corrispondenza delle città di Durazzo, Spalato, Venezia e Ortona”.
Secondo i mareogrammi sintetici elaborati (figura a lato), per un terremoto M. 6.5 con profondità focale di 10km, l’ampiezza dell’onda di tsunami sarebbe di circa 7cm ad Ortona e di circa 3cm a Venezia.
Costa albanese settentrionale
Gli esperti hanno anche considerato “l’area costiera dell’Albania, dal confine con il Montenegro alla latitudine 40.50°N. La sismicità è determinata dalla subduzione (dovuta a “tamponamento”) della placca adriatica sotto le Albanidi. I tipici meccanismi focali sono thrust e strike-slip, la magnitudo storica massima riportata è di 7.3, la più forte nell’area adriatica. La profondità focale va da 10 a 30km. I valori di magnitudo scelti per le simulazioni sono 6.5, 7.0 e 7.5, i valori di profondità focale sono 10, 20 e 30km. L’epicentro rappresentativo è posizionato nel punto di coordinate 41.50° N, 19.00° E, in corrispondenza dell’epicentro del terremoto del 346 d.C. di magnitudo 7.3. Lo strato liquido sopra la fonte è spesso 180m. I siti sono scelti in corrispondenza delle città di Ancona, Bari, Durazzo e Dubrovnik”. Secondo i mareogrammi sintetici elaborati (figura a lato), per un terremoto M. 7.0 con profondità focale di 10km, l’ampiezza dell’onda di tsunami sarebbe di 10cm a Bari e di 5cm ad Ancona. “Le coste orientali del bacino adriatico sono naturalmente le più esposte, mentre le coste italiane sembrano essere in qualche modo protette dalla presenza della dorsale adriatica meridionale. Eventi di magnitudo superiore a 7.0 possono generare ampiezze di tsunami di una certa entità solo nella parte più meridionale del Mare Adriatico. Eventi con magnitudo 6.5 o inferiore sono capaci di generare effetti di qualche rilevanza solamente in prossimità dell’epicentro”, scrivono gli autori.
¹ Tsunami hazard scenarios in the Adriatic Sea domain (M. Paulatto, T. Pinat, F. Romanelli)
² Scenarios of Earthquake-Generated Tsunamis for the Italian Coast of the Adriatic Sea (Tiberti et al.)