Transito di Mercurio: tutto quello che c’è da sapere sul pianeta più “eccentrico” del Sistema Solare

L'11 novembre il transito di Mercurio: condizioni meteo permettendo, potremo ammirare il piccolo pianeta passare davanti al nostro astro
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Mercurio è di sicuro il pianeta più “eccentrico” del Sistema Solare: ciò non solo in riferimento alla sua orbita, meno circolare rispetto a quella degli altri pianeti, tanto peculiare da essere usata da Albert Einstein per verificare le previsioni della sua teoria della Relatività generale ed essere stata al centro del dibattito scientifico di inizio secolo.
È un pianeta “terrestre”, il più piccolo e più vicino al Sole: la sua superficie – si legge su Media INAF – sperimenta la maggiore escursione termica tra tutti i pianeti, con temperature che nelle regioni equatoriali sfiorano i 427 °C di giorno e arrivano a -173 °C di notte.
Il suo nome deriva dalla tradizione degli antichi astronomi di Babilonia passando per la cultura greca che, associando le caratteristiche dei diversi pianeti alle peculiarità degli dei dell’Olimpo, scelse per il pianeta più rapido quello del messaggero degli dei dai calzari alati. A Roma il dio divenne anche protettore dei ladri, della destrezza, ma in questo il pianeta non gli somiglia: non ha avuto abbastanza “peso” da tenersi un’atmosfera, che avrebbe potuto mitigare gli effetti della vicinanza al Sole. Per via della piccola massa, infatti, esercita una forza di gravità che non è in grado di trattenere attorno a sé le particelle di gas che costituiscono un’atmosfera.

Credit: NASA/JHUAPL/Carnegie Institution of Washington/USGS/Arizona State University

A causa delle difficoltà di osservazione, Mercurio è stato per lungo tempo un pianeta poco studiato. Il primo a tentare di cartografarne la superficie fu – verso la fine del XIX secolo – Giovanni Virginio Schiaparelli. L’astronomo italiano fu anche il primo a ipotizzare che il periodo di rotazione di Mercurio fosse uguale al suo periodo di rivoluzione, di poco inferiore a 88 giorni terrestri.

Mercurio – spiega Francesca Aloisio sul notiziario online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – fu visitato per la prima volta nel 1974 dalla sonda statunitense Mariner 10, che teletrasmise a terra fotografie registrate nel corso di tre successivi sorvoli. Oggi che gli strumenti di cui disponiamo sono immensamente più sofisticati, la comunità scientifica è in attesa delle informazioni ci verranno dalla missione Esa/JaxaBepiColombo, partita alla volta di Mercurio nel 2018 per studiarne l’origine, l’evoluzione, il moto, analizzarne le caratteristiche planetologiche, individuare l’origine del campo magnetico e validare ancora una volta le previsioni della teoria della Relatività generale di Einstein.

Molteplici sono le informazioni che nel corso dei secoli sono state raccolte grazie alle osservazione sui transiti che il pianeta compie davanti al Sole. Il transito è un fenomeno raro che si verifica quando dal nostro punto di vista Mercurio si trova in direzione della nostra stella, avendo un’orbita più interna di quella terrestre. Insieme a Venere è l’unico pianeta del quale si possa osservare un transito dalla Terra, ma mentre per Venere ciò avviene con coppie di transiti a distanza di 8 anni separate tra loro da oltre cento anni, quello di Mercurio può essere osservato più di frequente, 13-14 volte ogni secolo. Il primo transito di Mercurio fu previsto da Keplero, sulla base di accurati calcoli astronomici, e osservato il 7 novembre 1631 da Pierre Gassendi, scienziato e filosofo del Seicento. All’epoca della prima osservazione, si scoprì che Mercurio aveva una dimensione molto inferiore a quella attesa (circa 6 volte più piccola del previsto), tanto che Gassendi pensò inizialmente di aver osservato una macchia solare.

Durante un transito è possibile effettuare misurazioni uniche della sottile esosfera del pianeta. Risale al 1985 la scoperta della presenza di sodio nell’esosfera di Mercurio, ma bisogna aspettare fino al 2003 per ottenere i primi dati dettagliati, raccolti durante un transito.

Il transito del pianeta sul disco solare garantisce l’eccezionale occasione di osservare l’intera circonferenza del terminatore simultaneamente. Nel corso degli ultimi transiti sono state pianificate numerose campagne osservative allo scopo di acquisire informazioni accurate.

transito mercurio 9 maggio 2016
Credit: NASA’s Goddard Space Flight Center/SDO/Genna Duberstein

Lunedì 11 novembre, condizioni meteo permettendo, sarà l’occasione per ammirare di nuovo il piccolo pianeta passare davanti al nostro astro. Il fenomeno sarà visibile a partire dalle 13:35, e potremo seguire una buona parte del lento movimento del pianeta in transito fino al tramonto. Il fenomeno è infatti previsto concludersi intorno alle 19:04, quando però entrambi i corpi celesti si troveranno ben al di sotto dell’orizzonte.

Occorrerà aspettare 13 anni per poter osservarne il prossimo transito.

Media INAF ha chiesto a Valentina Galluzzi, geologa planetaria dell’Inaf nel team della missione BepiColombo, di rivelare qualche curiosità sul suo pianeta preferito.

Valentina, il transito di Mercurio davanti al Sole è uno spettacolo affascinante, puoi raccontare qualche aneddoto legato ai precedenti transiti, magari alle scoperte a cui hanno portato?

«Più che un aneddoto, i transiti di Mercurio (e di Venere) hanno portato forse a una delle scoperte più importanti. Già nel XVII secolo infatti si era capito che osservando questo fenomeno da due punti molto distanti sulla Terra, il tempo impiegato dal pianeta a transitare sul disco solare era leggermente diverso. Questa differenza era dovuta alla parallasse che, una volta calcolata, ha permesso di definire con precisione l’Unità astronomica, che corrisponde circa alla distanza media Terra-Sole, tutt’oggi una costante fondamentale nel calcolo delle distanze tra pianeti. Anche se oggi li osserviamo principalmente per diletto, o per calibrare i risultati di strumenti spaziali, non dobbiamo mai dimenticarci che i transiti hanno permesso di definire la scala del Sistema solare».

Perché abbiamo deciso di andare su Mercurio? Cosa potremo scoprire grazie a BepiColombo?

«Mercurio è un pianeta estremo e ricco di sorprese. Oltre alle sue dimensioni ridotte e le caratteristiche orbitali peculiari, nel tempo è stato scoperto che, nonostante la sua taglia, il suo interno genera ancora un lieve campo magnetico, il suo ambiente esterno è molto dinamico, e la sua superficie ricca di strutture tettoniche e unità vulcaniche (oltre che crateri). Insomma, possiamo definirlo un pianeta che in passato è stato molto “vivace” e che grazie all’assenza di agenti modificatori importanti, quali acqua o vento, ha conservato tutte le tracce della sua storia evolutiva passata, un pezzo importante per ricostruire la storia dei pianeti terrestri. Tuttavia, nonostante che una serie di missioni dedicate al Sistema solare interno abbiano già visitato Venere, Luna e Marte per decine e decine di volte, Mercurio è stato visitato solo due volte in passato dalle sonde Nasa Mariner 10 e Messenger, forse anche a causa della sua orbita molto difficile da raggiungere. Grazie alla collaborazione tra Europa e Giappone, con BepiColombo sarà possibile conoscere ancora meglio il pianeta più interno».

In che modo? Come funzionerà e con quali obiettivi scientifici?

«BepiColombo è una missione composta di ben due sonde spaziali che potranno lavorare in simbiosi per ricostruire l’ambiente, la superficie e l’interno di Mercurio, cosa che mai era stata fatta prima all’unisono prima d’ora. La collaborazione interdisciplinare tra i vari strumenti sarà fondamentale per rispondere ad alcune domande rimaste aperte, come ad esempio la presenza di ghiaccio ai poli, o i processi ancora attivi che potrebbero modificare tutt’oggi la superficie del pianeta. Inoltre, dalla sua struttura interna alle dinamiche del suo ambiente circostante, come ad esempio l’interazione tra esosfera ed il campo magnetico o il vento solare, direi che questo è un pianeta ancora tutto da scoprire, e che è fondamentale per capire meglio l’evoluzione del Sistema solare stesso».

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