La Cop25 è stata “un’occasione persa” per mostrare ambizione nella gestione della “crisi climatica”. Si dice “deluso” il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, per il fatto che dopo due settimane di negoziati e due giorni supplementari di trattative i circa 200 Paesi firmatari dell’accordo sul clima di Parigi abbiano raggiunto un accordo di compromesso minimo, senza alcuna intesa su nodi cruciali come le regole del mercato internazionale di carbonio, questione che viene rimandata al prossimo anno.
Il testo finale segnala effettivamente il “bisogno urgente” di agire per ridurre lo scarto fra gli impegni presi dai Paesi e gli obiettivi dell’accordo di Parigi che prevede di limitare il riscaldamento globale a +2°, anche 1,5°. Ma non c’è accordo su punti che sono essenziali per rispondere all’emergenza climatica, come appunto le regole dei mercati internazionali di carbonio.”Sembra che la Cop25 stia per cadere a pezzi. La scienza è chiara ma viene ignorata“, aveva twittato Greta Thunberg ore prima, quando il rinvio della chiusura dei lavori del vertice lasciava presagire il fallimento. “Qualsiasi cosa succeda, non abbandoneremo. Siamo solo all’inizio“, ha garantito la giovane. Una promessa fatta anche dal numero uno delle Nazioni unite Guterres: “Non dobbiamo arrenderci e non e non ci arrenderemo“, ha garantito dopo avere espresso la sua delusione.
Dura critica anche da Greenpeace per l’esito “completamente inaccettabile” della Cop 25 di Madrid. “Durante questo meeting – scrive l’organizzazione ambientalista in una nota – la porta e’ stata letteralmente chiusa a valori e fatti, mentre la societa’ civile e gli scienziati che chiedevano la lotta all’emergenza climatica venivano addirittura temporaneamente esclusi dalla Cop 25. Invece, i politici si sono scontrati sull”Articolo 6′ relativo allo schema del commercio delle quote di carbonio, una minaccia per i diritti dei popoli indigeni nonche’ un’etichetta di prezzo sulla natura”.
“I governi devono ripensare completamente il modo con cui conducono queste trattative, perche’ l’esito di questa Cop e’ totalmente inaccettabile“, dice Jennifer Morgan, direttrice Esecutiva di Greenpeace International. “C’era necessita’ – aggiunge – di decisioni che rispondessero alle sollecitazioni lanciate dalle nuove generazioni, che avessero la scienza come punto di riferimento, che riconoscessero l’urgenza e dichiarassero l’emergenza climatica. Anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena, Paesi come Brasile e Arabia Saudita hanno invece fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e societa’ civile”, conclude Morgan.
Ma è davvero un dramma? Questo esito ci porterà verso la fine del mondo? Chiaro che no e la scienza, tanto per precisarne le posizione visto che Greta la usa come scudo, lo dice esplicitamente: il Cambiamento Climatico esiste, è in corso, ma dipende solo in minima, per non dire irrisoria, parte dall’azione dell’uomo. L’inquinamento, che necessita di una repentina e decisa riduzione, non influisce sul clima o quanto meno non in maniera tale da influenzarne il corso o il cambiamento. Si tratta più che altro di un problema da un punto di vista ambientale e della salute dell’uomo, che va indubbiamente risolto, ma che non porterà alla fine del mondo. Il catastrofismo sul quale fanno perno Greta e i suoi followers è a tutti gli effetti una teoria complottistica, un’esagerazione che sta spostando l’attenzione dal vero problema, ovvero l’ambiente, a tutt’altro, ovvero la politica e il necessario sviluppo economico e sociale dei Paesi del mondo.
La Cop25 ha messo in evidenza una spaccatura nella comunità internazionale, fra i grandi inquinatori, responsabili della maggior parte delle emissioni, e gli altri. Nel mirino dei difensori dell’ambiente, oltre che gli Stati Uniti che usciranno dall’accordo di Parigi a novembre del 2020, anche Cina e India che insistono, prima di rivedere al rialzo i propri impegni, sulla responsabilità dei Paesi sviluppati di fare di più e di rispettare le loro promesse di aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo. E nel mirino ci sono anche l’Arabia Saudita, nonché Australia e Brasile, entrambi accusati di volere introdurre nelle discussioni delle disposizioni sulle regole del mercato di carbonio che secondo gli esperti minerebbero l’obiettivo stesso dell’accordo di Parigi. Obiettivo che, ormai la scienza ne è certa, non cambia il corso climatico: ciò che dovrà essere sarà, e non avverrà la fine del mondo.