Dopo l’intervista rilasciata a MeteoWeb poche ore dopo il terremoto che la scorsa settimana ha provocato 51 morti in Albania, il prof. Enzo Mantovani, docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena e tra gli esperti più preparati al mondo su studi e ricerche legati alla possibilità di prevedere i terremoti, vuole precisare il punto di vista scientifico con un approfondimento molto interessante legato alla possibilità che le scosse che hanno colpito l’Albania inneschino un forte terremoto anche sull’Appennino meridionale.
Già nel 2012 Mantovani auspicava di ”superare l’analisi statistica” e di studiare i terremoti ”come eventi interconnessi”, comprendendone ”i meccanismi di generazione, esattamente come e’ avvenuto in campo meteorologico”. Adesso, dopo la nota della protezione civile che sabato ha voluto rispondere alle sue dichiarazioni su MeteoWeb, Mantovani torna a parlare con precisazioni importanti sul sisma albanese: “Questa forte scossa – ha detto a MeteoWeb – ha stimolato la pubblicazione nei vari siti di informazione di tentativi di spiegazione dell’assetto tettonico responsabile della sismicità in Albania. Siccome la maggior parte delle interpretazioni proposte hanno scarsa aderenza con la situazione reale, può essere opportuno fornire (per chi è interessato) alcune informazioni sul quadro tettonico che è confortato dalle evidenze disponibili. L’idea maggiormente praticata nei giorni scorsi ha attribuito l’attività dell’Albania alla convergenza tra Africa ed Europa. Però in realtà il principale responsabile delle deformazioni compressionali osservate in Albania, è il movimento relativo tra il blocco Africa-Adriatico e il sistema Anatolico-Egeo-Balcanico (Turchia-Grecia-Epiro-Montenegro) come mostrato in figura 1“.
“La convergenza sopra citata provoca il sottoscorrimento della placca adriatica sotto la catena ellenico-dinarica (Epiro-Albania-Montenegro), come schematizzato in figura 2)”.
“La sismicità che colpisce le Dinaridi meridionali e l’Albania è associata all’attivazione delle faglie che consentono alla placca adriatica di sottoscorrere la catena Ellenico-Dinarica (Fig.2). L’idea che i terremoti di questa zona possano favorire l’attività sismica nell’Appennino meridionale (situato lungo il bordo opposto della placca adriatica) è stata inizialmente innescata (oltre che da considerazioni tettoniche) dal fatto che il forte terremoto che ha colpito il Montenegro nell’Aprile 1979 (M=7) è stato seguito dal disastroso terremoto dell’Irpinia nel Novembre 1980 (M=6.9). Poi, il possibile carattere sistematico di questa correlazione sismica è stato suggerito dal fatto che nei due secoli precedenti tutte le scosse con M ? 6.0 avvenute nell’Appennino meridionale sono state precedute entro pochi anni (meno di 5) da uno o più terremoti con M ? 6 nelle Dinaridi meridionali (Fig.3)”.
“Poiché la probabilità che una tale corrispondenza sia dovuta al caso è molto bassa (Mantovani et alii, 2010, 2012), è verosimile supporre che l’interrelazione osservata derivi da una connessione tettonica tra le due zone. Inoltre, tale corrispondenza non cambierebbe in modo significativo se si considerasse una soglia di magnitudo inferiore (M=5.5), poiché in tal caso, solo uno dei 15 terremoti dell’Appennino meridionale non sarebbe stato preceduto da scosse forti nelle Dinaridi meridionali. Questa regolarità fa supporre che difficilmente una faglia dell’Appennino meridionale si può attivare senza essere preceduta da uno o più terremoti forti nella zona dinarico-ellenica.
Però, la presenza di alcuni falsi allarmi (cioè di scosse nella prima zona non seguite da scosse nella seconda) significa che il riconoscimento di un precursore effettivo non è semplice, anche se in un solo caso (1870) una scossa di M ? 6.5 nella zona Dinarica non ha avuto una risposta significativa (M ? 5.5) in Appennino.
Le considerazioni sopra esposte indicano che dopo la scossa del 26 novembre scorso in Albania la stima della pericolosità sismica nell’Appennino meridionale è piuttosto incerta, specialmente dopo che la magnitudo del terremoto è stata ridotta da 6.5 (come veniva suggerito appena dopo la scossa) a 6.2 dall’INGV. La casistica disponibile (Fig.3) non consente di classificare tale scossa come un sicuro precursore, per vari motivi. Le scosse di M ? 6.2 hanno avuto risposte in Appennino solo in una parte dei casi. Il numero di terremoti avvenuti dopo il 1800 non è sufficientemente elevato da garantire che la correlazione presunta sia valida sempre.
Quindi, per il momento, si può solo dire che la probabilità di terremoti in Appennino meridionale sembra aumentare negli anni (tenendo anche conto della scossa di M=5.8 che nel settembre scorso è avvenuta nella stessa zona), ma non si può certo escludere che nei prossimi anni la sismicità rimanga limitata. Comunque, anche se ci trovassimo di fronte ad un precursore affidabile, è opportuno ricordare che i suoi effetti in Appennino sarebbero previsti solo dopo un periodo compreso tra 1 e 5 anni (in base alla casistica riportata in fig. 3). Analisi quantitative del fenomeno fisico che è alla base della correlazione osservata (rilassamento post sismico) hanno dimostrato che il tempo previsto per la propagazione della perturbazione innescata da un terremoto balcanico fino all’Appennino meridionale è di circa uno-due anni.
Nell’ottica di una politica di prevenzione, le indicazioni attualmente disponibili potrebbero consigliare di inserire l’Appennino meridionale tra le zone prioritarie dove effettuare interventi di messa in sicurezza degli edifici, come già consigliato per altre zone sismiche italiane (e.g., Mantovani et alii, 2016, 2018). La metodologia utilizzata per formulare tali indicazioni è basata sul fatto che i terremoti forti non si distribuiscono in modo casuale, essendo controllati dal progressivo sviluppo dei processi tettonici. Questo apre la possibilità (utilizzando le informazioni disponibili sull’assetto tettonico e sulla storia sismica passata in Italia) di individuare le zone sismiche più esposte alle prossime scosse forti (senza potere comunque fornire informazioni sulla tempistica delle scosse). Informazioni molto dettagliate sulle metodologie che possono portare a questo risultato sono descritte in vari lavori e sono inoltre riportate in modo semplificato in tre video scaricabili dal sito web della Regione Toscana relativo alla stima del rischio sismico” ha concluso il prof. Mantovani.
Riferimenti
Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Albarello D., Cenni N., Vannucchi A., 2010. Long-term earthquake triggering in the southern and Northern Apennines. J. Seismology, 14, 53-65.
Mantovani ,E., Viti, M., Babbucci, D., Cenni, N., Tamburelli, C., Vannucchi, A., 2012. Middle term prediction of earthquakes in Italy: some remarks on empirical and deterministic approaches. Boll.Geofis.Teor.Appl., 53, 89-111, doi: 10.4430/bgta00XX.
Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Tamburelli C., Cenni N., Baglione M., D’Intinosante V., 2016. Recognition of PeriAdriatic Seismic Zones Most Prone to Next Major Earthquakes: Insights from a Deterministic Approach. In: D’Amico, S., Ed., Earthquakes and Their Impact on Society. Springer Natural Hazard, Springer International Publishing Switzerland 43-80. doi 10.1007/978-3-319-21753-6_2
Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Tamburelli C. Vannucchi A., Baglione M., D’Intinosante V., Cenni N., 2018. Stima aggiornata della pericolosità sismica in Toscana e aree circostanti. Universitas Studiorum s.r.l., Mantova, pp.88, ISBN 978-88-3369-014-8. https://books.google.it/books/about?id=l81eDwAAQBAJ&redir_esc=y
Viti M., Mantovani E., Babbucci D., Tamburelli C., 2011. Plate kinematics and geodynamics in the Central Mediterranean. J. Geodynamics, 51, 190-204. doi: 10.1016/j.jog.2010.02.006.