EpsiLon è il biomarcatore che potrebbe rappresentare la svolta per l’identificazione dei pazienti candidati all’immunoterapia. Si tratta di uno score prognostico precedentemente generato su 154 pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule trattati con immunoterapia presso l’Ospedale Giovanni Paolo II di Bari.
Lo score, che comprende diversi parametri clinici (performance status, fumo e presenza di metastasi epatiche al basale) e biochimici (livelli di LDH e rapporto neutrofili-linfociti), si era dimostrato in grado di distinguere i gruppi di pazienti con diversa prognosi. Da qui, lo studio condotto all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) su 200 pazienti naive e pubblicato sulla rivista scientifica Cancers.
“EPSILoN score è uno strumento utile per guidare le decisioni terapeutiche nei pazienti con tumore polmonare candidati al trattamento immunoterapico” – spiega Giuseppe Lo Russo oncologo medico Struttura Semplice di Oncologia Toracica INT con responsabile la Dr. Marina Chiara Garassino del Dipartimento di Oncologia Medica 1 diretta dal Prof. de Braud. “Lo score rappresenta una novità da impiegare nella pratica clinica, in quanto è facilmente calcolabile senza la necessità di un ulteriore dispendio economico” commenta Arsela Prelaj, Oncologo medico dedicato allo studio e alla cura dei tumori toracici presso la stessa Struttura e dottoranda in Bioingegneria presso l’Università Politecnico di Milano.
L’avvento dell’immunoterapia ha significativamente cambiato lo scenario terapeutico del tumore polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato di malattia. Tuttavia è essenziale l’identificazione di biomarcatori capaci di selezionare i pazienti che potrebbero avere un maggiore beneficio dalle terapie. Nivolumab, pembrolizumab e atezolizumab sono stati i primi farmaci immunoterapici ad essere approvati in seconda linea e pembrolizumab è attualmente lo standard di cura nei pazienti con alta espressione di PD-L1 (?50%).
Durvalumab, invece, è stato approvato come terapia di mantenimento nei pazienti in stadio III con PD-L1?1% trattati con chemioterapia e radioterapia ed infine da inizio dicembre 2019, per i pazienti a istologia non-squamosa con PD-L1 <50%, la combinazione dell’immunoterapia con la chemioterapia è diventata la prima opzione di cura. Nonostante il beneficio di sopravvivenza ottenuto, che ha portato alla commercializzazione di tutti questi farmaci, soltanto una parte dei pazienti risponde al trattamento o sperimenta un beneficio duraturo. Infatti, in alcuni recenti studi retrospettivi è stato dimostrato come alcune caratteristiche cliniche e/o i livelli di alcuni indici infiammatori rilevati nel sangue periferico prima di iniziare il trattamento, possano essere correlati con una prognosi sfavorevole e/o una bassa risposta all’immunoterapia. L’espressione del PD-L1 sulle cellule tumorali è ad oggi l’unico biomarcatore disponibile nella pratica clinica, ma si tratta di un marcatore imperfetto, con molte limitazioni tecniche e biologiche.
“Da questo studio possiamo concludere che non soltanto i dati derivanti dall’analisi del tessuto tumorale ma anche i dati clinici, biochimici, molecolari ed epidemiologici possono essere utili nel personalizzare il trattamento dei pazienti” dichiara Roberto Ferrara, medico oncologo e PhD fellow presso l’unità di Immunologia Molecolare INT. Infine, spiega la dottoressa Prelaj: “Nel prossimo futuro saranno sviluppati score generati dalla combinazione di più parametri oppure modelli più complessi che prevedono l’integrazione di tutta questa mole di dati con l’utilizzo di software come l’Intelligenza artificiale, che porteranno ad una vera individualizzazione delle scelte terapeutiche”.