L’Italia mostra ancora forti disomogeneità territoriali per qualità dell’assistenza oncologica. Nove Regioni mostrano livelli elevati di adeguatezza nella cura dei tumori: Piemonte, Valle d’Asta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna e Toscana. Il livello è buono anche nelle Marche, Umbria e Lazio. Ampi, invece, i margini di miglioramento al Sud, anche se passi in avanti importanti sono stati realizzati in Puglia e Campania con la recente istituzione delle reti oncologiche regionali.
La presenza dei PDTA (percorsi diagnostico, terapeutico, assistenziali) per le patologie oncologiche, che garantiscono maggiore appropriatezza e chiarezza dei percorsi, è distribuita in maniera eterogenea tra le Regioni del Nord (in cui si supera una copertura dell’85%), del Centro (67%) e del Sud (52%). Nel Centro-Nord è costante la valutazione multidisciplinare del paziente, garanzia di un migliore percorso di cura, e sempre al Centro-Nord è più facile trovare più adeguata risposta ai propri bisogni, grazie all’assistenza domiciliare e al supporto delle Associazioni di volontariato, disseminate sul territorio. L’accesso alle cure domiciliari e palliative rimane, comunque, difficile in tutto il Paese: solo Emilia-Romagna e Toscana sono in grado di assicurare una migliore assistenza domiciliare integrata, con oltre 280 assistiti ogni 10.000 abitanti contro una media nazionale di 96. L’innovazione che permette di ridurre l’invasività della chirurgia è invece più accessibile in Liguria, Umbria e Toscana, con importanti benefici in termini di riduzione del rischio di infezioni e diminuzione dei tempi di recupero post-operator, mentre l’accesso ai servizi di radioterapia è più facilitato in Umbria (4,5 posti letto in radioterapia per 1 milione di abitanti), Emilia-Romagna (3,82) e Toscana (3,74).
Le soluzioni? La presenza delle reti oncologiche e la facilità nell’accedervi risultano fattori fondamentali nel determinare un sistema di cura comune e condiviso che riduca gli sprechi derivanti dalla mancata applicazione dei PDTA e dei criteri del DM 70/2015, consentendo così il reinvestimento in personale e nella tecnologia digitale, a partire dal fascicolo sanitario oncologico, e l’implementazione dei punti unici di accesso alle cure oncologiche.
Sono i dati principali del report (“Le disparità regionali in oncologia: analisi ed azioni”) presentato oggi a Roma in un convegno nazionale e stilato da All.Can Italia, coalizione che si propone di ridefinire il paradigma di gestione del cancro, adottando un’ottica interamente centrata sul paziente. All.Can ha valutato le Regioni in relazione a quattro aree di miglioramento (accesso all’innovazione, ospedali senza mura e cure palliative, cura giusta nel posto giusto, turismo salutare).
Nel 2019, in Italia, sono stimati 371.000 nuovi casi di tumore e sono più di 3 milioni e quattrocentomila i cittadini che vivono dopo la diagnosi. “Al Centro-Nord, il malato viene preso in carico attraverso un percorso terapeutico standard e definito – spiega la senatrice Emilia Grazia De Biasi, Portavoce di All.Can Italia -. Per favorire una presa in carico del paziente omogenea in tutto il Paese, è indispensabile la piena attivazione delle Reti oncologiche regionali, la cui semplice delibera non è sinonimo di adeguatezza dei livelli di assistenza. Innanzitutto, è necessario migliorare la qualità dell’offerta oncologica in relazione alla legislazione già deliberata”. Il Servizio Sanitario Nazionale, infatti, ha chiesto agli ospedali di aumentare la loro efficienza. Per l’oncologia, lo standard prevedeva 1 reparto ogni 300.000 abitanti ma, con una norma specifica (DM 70/15), si passa a 1 reparto ogni 600.000 abitanti. “In futuro, quindi, il numero delle oncologie sarà ridotto e la tecnologia e l’innovazione svolgeranno un ruolo chiave per garantirne la sopravvivenza – continua la senatrice De Biasi -. Per questo, vanno implementate soluzioni organizzative. Non solo. Per gestire la cronicità oncologica non ci si può limitare alla sola dimensione ospedaliera: il nuovo modello di cura del cancro deve coinvolgere a pieno la medicina territoriale e l’assistenza domiciliare. Affinché questo modello si concretizzi, occorre rivedere l’attribuzione delle risorse lungo tutto il percorso di cura. L’obiettivo di All.Can Italia è infatti quello di far emergere i bisogni dei pazienti in modo da convogliare su quelle criticità le risorse e gli investimenti in innovazione, tecnologie ma anche in competenze e nuovo personale”.
“L’indagine da noi condotta insieme ad All.Can offre una fotografia interessante del sistema oncologico italiano e evidenzia le potenziali aree di miglioramento– afferma Luca Pinto, Principal RWI di IQVIA –. Per la prima volta gli indicatori sanitari e assistenziali sono stati interpretati dal punto di vista dei Pazienti attraverso una valutazione incrociata della loro significatività e del loro peso. Innanzitutto, si sottolinea la necessità di assicurare l’accesso all’innovazione scientifica su tutto il territorio, ma anche di garantire la gestione della cronicità del paziente oncologico. Questa cronicità è dovuta all’aumento della sopravvivenza del paziente frutto dell’efficacia delle nuove terapie farmacologiche. L’indagine ribadisce la necessità di trattare il paziente oncologico con un approccio globale che consideri aspetti medici, psicologici, sociali, relazionali lungo tutto il percorso della malattia. In quest’ottica il report evidenzia l’importanza di accelerare la diffusione delle cure domiciliari e palliative e di concentrarsi su una presa in carico completa del paziente”.
“A livello di Reti, sono diversi i problemi da affrontare – sottolinea Gianni Amunni, vice presidente di Periplo e Direttore Generale dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO) -. Poche Regioni hanno sviluppato punti unici di accesso all’interno della Rete, fondamentali per facilitare la diagnosi e la stadiazione, realizzare la presa in carico del paziente e facilitare l’accesso agli strumenti socio-assistenziali. Inoltre, a livello regionale non sono ancora attive reti strutturate di cure palliative. E va diffuso il ricorso all’assistenza domiciliare oncologica, che necessita dell’intervento congiunto di tre figure: medico, infermiere ed assistente sociale”. A livello di ospedali, non sono ancora evidenti reti di patologia (coerenti con il DM 70/2015) e, in tutto il territorio nazionale, vi sono strutture che non rispondono ai criteri deliberati. “Va facilitata l’adesione degli ospedali a reti di patologia – continua Gianni Amunni -. La via è costituita dall’attivazione di modalità innovative di presa in carico della persona, adottando un sistema di classificazione delle malattie per categorie clinicamente significative e omogenee, cui corrisponda una modalità di remunerazione omni-comprensiva delle prestazioni necessarie per la corretta gestione dell’assistito”. È ancora alto nel nostro Paese il livello di mobilità sanitaria. Se infatti il Friuli Venezia Giulia si caratterizza per il maggiore equilibrio tra posti letto e numero di pazienti, molti cittadini del Sud si spostano al Nord soprattutto per la cura dei tumori che richiedono ricovero, con importanti ripercussioni di ordine economico. Le Regioni con il più elevato indice di fuga sono Abruzzo (71,21), Calabria (60,45), Puglia (44,58) e Sicilia (36,2). Il valore economico della mobilità oncologica per il cittadino ammonta a 10 miliardi di euro l’anno ed è il risultato delle carenze nell’organizzazione dei percorsi di cura. Questa mobilità infatti non è necessariamente motivata dalla qualità dell’offerta. “La presa in carico complessiva dei malati – afferma Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) – può essere assicurata soltanto con l’istituzione e l’effettivo funzionamento delle Reti oncologiche regionali che rappresentano la necessaria e corretta risposta a tutti i bisogni dei pazienti e delle loro famiglie”. “Il recente Accordo Stato Regioni ‘Revisione delle Linee Guida organizzative e delle raccomandazioni per la Rete’ – spiega De Lorenzo – sancisce il principio della centralità delle associazioni dei malati in ogni aspetto caratterizzante le Reti (punti di accesso, carta dei servizi, integrazione tra attività ospedaliere e territoriali, sanitarie e socio-sanitarie, PDTA, ricerca organizzativa, relazione di aiuto e supporto alle diverse aree di intervento, integrazione tra servizi socio-sanitari e socio-assistenziali e rendicontazione sociale). Le associazioni dei malati, in All.Can, devono lavorare con tutti gli stakeholder per assicurare ai malati l’accesso all’innovazione a tutti i livelli, dalla medicina personalizzata, alla riabilitazione, fino al ritorno al lavoro. Tuttavia, per accedere all’innovazione, si impone – nel rispetto della sostenibilità – una riallocazione delle risorse, attraverso l’appropriatezza e le buone pratiche, con l’eliminazione di procedure sovra/sotto utilizzate, talvolta anche nocive, che rappresentano il 26% della spesa sanitaria. È questo l’obiettivo di All.Can”.
Fra le azioni da attuare all’interno del sistema, non va sottovalutata la rivoluzione digitale, accelerando l’utilizzo del fascicolo sanitario oncologico per consentire la condivisione della storia clinica del paziente tra chi è autorizzato (medici e operatori socio-sanitari). A oggi, è stato introdotto solo in Lombardia, anche se non ancora a pieno regime.
“La legislazione esistente è una solida base per condividere standard e modelli organizzativi: dalla struttura delle reti, all’interoperabilità dei dati, alla valorizzazione delle risorse e del capitale umano – spiega Mattia Altini, Direttore Sanitario, IRCCS IRST Meldola -. Attraverso le associazioni di volontariato, il paziente diventa autentico termometro dell’adeguatezza dei percorsi, un facilitatore verso altri pazienti e decisore quando è adeguatamente consultato per la definizione dei PDTA. In un contesto di risorse scarse, il decisore deve allocare i fondi alle prestazioni e tecnologie che più rispondono ai bisogni del paziente-cittadino. Occorre muovere il sistema verso una logica di remunerazione del percorso e non della singola prestazione, adottando la prospettiva del paziente-cittadino come metro di valutazione”.
All.Can Italia è una piattaforma che coinvolge realtà come FAVO, AIL (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma), Scuola Italiana di Senologia, Fondazione Melanoma, ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico) Onlus, VIDAS (Volontari Italiani Domiciliari Assistenza Sofferenti), oltre a partner specializzati come IQVIA e Intermedia, ed è resa possibile grazie al contributo di Bristol-Myers Squibb e AbbVie.