I costi delle terapie Car-T rappresentano “un problema reale, sul quale anche le aziende dovrebbero ragionare”, che mette alla prova sistemi sanitari sempre più alle prese con il nodo sostenibilità. Tali terapie stanno rivoluzionando la cura dei tumori del sangue, al quinto posto nella classifica nazionale delle forme di cancro più diffuse, con oltre 33 mila nuovi casi all’anno, tuttavia il costo eccessivo rischia di frenare non solo l’accesso al trattamento da parte dei pazienti, ma anche il lavoro degli scienziati in un settore che, proprio per i “costi altissimi”, oggi è per forza di cose “dominato dalle aziende farmaceutiche”. E’ la riflessione di Corrado Tarella, direttore della Divisione Ematologia dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) e professore all’università Statale di Milano, che chiede “più fondi per la ricerca indipendente”.
Sentito dall’AdnKronos Salute in occasione del 61esimo Congresso dell’American Society of Hematology-Ash (7-10 dicembre, Orlando, Florida), Tarella ritiene “opportuno che sul filone delle Car-T, terapie che come suggeriscono i numerosi studi presentati al meeting Usa saranno sempre più importanti anche in forme di cancro diverse da quelle per le quali sono già state approvate, crescesse oltre a quella industriale anche la ricerca accademica. Premesso che la ricerca è sempre importante, che la faccia Big Pharma o l’università – precisa lo specialista – la speranza è che si possano sviluppare entrambe”. E se il Bando 2018 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per la ricerca indipendente lancia un segnale positivo mettendo già a disposizione 6,5 milioni di euro per finanziare progetti su malattie rare, studi clinici controllati comparativi e Car-T, l’onco-ematologo auspica ancora “più investimenti”.
“Oggi come oggi sulle Car-T è molto difficile riuscire a competere con le company”, ribadisce Tarella che anche per questo loda la ricerca che è valsa a Chiara Magnani dell’università degli Studi di Milano-Bicocca/Fondazione Mbbm (Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma) uno dei due Ash-Sie Abstract Achievement Award assegnati quest’anno al summit da Ash e Sie-Società italiana di ematologia.
Lo studio – frutto di una collaborazione che coinvolge per la parte pediatrica il gruppo di Andrea Biondi dell’ospedale San Gerardo di Monza, e per quella sugli adulti il team di Alessandro Rambaldi dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – dimostra l’efficacia e la sicurezza di Car-T innovative ottenute senza utilizzare vettori virali e non ingegnerizzando i linfociti T del paziente, bensì quelli di un donatore. Un approccio descritto come “meno a rischio di effetti collaterali e in prospettiva ‘low-cost'”. Due le Car-T al momento presenti sul mercato, rimborsate anche in Italia (prezzo ex-factory oltre 300 mila euro) per i pazienti che non hanno risposto o hanno avuto ricadute dopo almeno altre due linee di cura. I prodotti in commercio sono axicabtagene ciloleucel (adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B) e tisagenlecleucel (leucemia linfoblastica acuta a cellule B nei bambini e nei giovani fino a 25 anni e linfoma diffuso a grandi cellule B negli adulti).
“I dati consolidati a medio-lungo termine fanno ben sperare: circa il 50% dei pazienti leucemici e il 35% di quelli con linfoma hanno un controllo duraturo della malattia che potrebbe corrispondere a guarigione”, ha fatto il punto Paolo Corradini, presidente Sie, firmando un intervento su ‘Corriere Salute’. La speranza è che il trattamento possa offrire nuove speranze anche in “neoplasie per cui oggi ci servono nuove strategie: linfoma mantellare, leucemia linfatica cronica e mieloma multiplo”. Poi ci sono i tumori solidi, che per Tarella “sono il campo d’applicazione futuro”. Gli ostacoli non mancano, ammette, ma “sulle terapie cellulari bisogna essere ottimisti. Hanno cambiato e stanno cambiando tutto il nostro mondo, il nostro modo di pensare alla cura dei tumori del sangue”.
Per Corradini, in tema Car-T “due cose sono però fondamentali. Primo, deve essere chiaro che ad oggi si tratta di una strategia destinata a pazienti selezionati. Secondo, va applicata in centri selezionati e in base ai criteri stabiliti da Aifa. Ad oggi – ricorda lo specialista, direttore del Dipartimento di Oncologia e Onco-ematologia dell’università degli Studi di Milano – sono qualificati tre ospedali a Milano (San Raffaele, Humanitas e Istituto nazionale tumori), Papa Giovanni XXIII a Bergamo, la Pediatria dell’ospedale San Gerardo di Monza, Policlinico Gemelli a Roma e Sant’Orsola a Bologna”. Sette strutture, oltre alle quali “è in corso la qualificazione per altri centri in Lombardia, Piemonte, Veneto e Toscana”. Fra questi l’Ieo: “Siamo in fase di valutazione – conclude Tarella – L’iter è lungo”.