Le Car-T, frontiera dell’immunoterapia anticancro che trasforma le naturali difese dell’organismo in ‘killer specializzati’ contro le cellule malate, offrono speranze un tempo impensabili contro alcune forme di tumori del sangue. Ma cosa fare quando anche loro falliscono? Un possibile ‘piano B’ arriva da nuova immunoterapia sperimentale protagonista di uno studio presentato in sessione plenaria al 61esimo Congresso dell’Ash (American Society of Hematology), che si è aperto oggi a Orlando in Florida. A illustrarlo è stato Stephen J. Schuster, direttore del Programma linfomi presso l’Abramson Cancer Center dell’università della Pennsylvania, considerato fra i ‘padri’ delle Car-T. Al centro del lavoro – di fase clinica I, ma descritto alla stampa come “il più entusiasmante” portato al meeting sul tema dell’immunoterapia – c’è il farmaco mosunetuzumab, della famiglia degli anticorpi bispecifici. Ritenuti dagli esperti una “frontiera della frontiera dell’immunoterapia”, sono proteine artificiali ‘bifronti’ che riconoscono in modo specifico la cellula tumorale da un lato e il linfocita T dall’altro. Funzionano cioè come un ‘ponte’ tra il sistema immunitario e la malattia da combattere. Il trial – globale e multicentrico, sostenuto da Genentech (gruppo Roche) – indica che infusioni di mosunetuzumab possono indurre remissione completa in pazienti affetti da linfomi non-Hodgkin (Nhl) a cellule B resistenti o recidivanti dopo diversi trattamenti. Fra questi anche malati precedentemente sottoposti a terapia Car-T, nei quali il farmaco sembra inoltre ‘riattivare’ i linfociti T Car che non hanno funzionato come si sperava.
Quasi la metà (43%) dei pazienti con linfomi a crescita lenta ha mostrato risposte complete a mosunetuzumab. E si è osservata una remissione completa anche nel 22% dei pazienti in cui il tumore era progredito nonostante la terapia Car-T”. Se quest’ultima – come noto – consiste nell’infusione di linfociti T del malato ingegnerizzati in laboratorio in modo da esprimere il recettore Car che riconosce il cancro, “uno dei vantaggi dell’anticorpo bispecifico è che non deve essere prodotto paziente per paziente – spiega Schuster – bensì è ‘pronto all’uso'”. Per usare una metafora presa in prestito dal mondo della moda: non è un ‘abito su misura’, ma un ‘prêt-à-porter’. In teoria, quindi, anche più accessibile.
Circa l’85% dei casi Nhl – ricordano gli studiosi della Penn University – sono linfomi a cellule B, inclusi il linfoma diffuso a grandi cellule B (Dlbcl) e il linfoma follicolare. Mentre molti pazienti rispondono alla chemio-immunoterapia in prima linea, quelli che non reagiscono spesso non rispondono nemmeno ai trattamenti di seconda linea. Fra i ‘non responders’ con Dlbcl, il 40% circa può beneficiare della terapia Car-T che è indicata dopo il fallimento di due precedenti linee di trattamento. Car-T non è approvata nel linfoma follicolare, sottolineano gli autori, sebbene “studi clinici abbiano dimostrato che è promettente”. Questo per dire che “c’è ancora grande necessità di nuovi trattamenti nei casi recidivanti o refrattari”, avverte Schuster, anche perché “alcuni pazienti non rispondono a Car-T e altri sono troppo malati per aspettare che vengano prodotte le cellule T modificate”.
Mosunetuzumab è stato progettato per legarsi a due recettori specifici, uno sulle cellule tumorali (Cd20) e l’altro sul linfocita T; i pazienti ricevono l’infusione terapeutica per diversi mesi. Ad oggi sono oltre 270 quelli trattati con il farmaco sperimentale in 7 Paesi tra Nord America, Europa, Asia e Australia, tutti con linfomi a cellule B che non hanno risposto a precedenti trattamenti – inclusi trapianto di staminali e Car-T – o che si sono ripresentati dopo le terapie. Dei 193 pazienti valutabili, il 65% aveva linfomi aggressivi e il 35% a lenta crescita. Tra quelli con linfomi aggressivi l’anticorpo bispecifico ha prodotto una risposta nel 37% e una remissione completa nel 19%, mentre nel gruppo a crescita lenta il 63% ha mostrato una risposta e il 43% remissione completa.
Nei malati che hanno visto scomparire completamente il tumore, le remissioni sembrano di lunga durata. A un follow-up mediano di 6 mesi, l’83% dei pazienti con linfoma a crescita lenta e il 71% di quelli con linfoma aggressivo erano ancora liberi dal cancro. In 4 il linfoma è tornato dopo la remissione, ma 3 hanno risposto nuovamente alla ripresa del trattamento, compreso uno che è tornato in remissione e la mantiene da 13 mesi. In alcuni dei pazienti che prima dell’anticorpo bispecifico avevano ricevuto la terapia Cart-T, segnalano poi gli autori dello studio, i test molecolari hanno mostrato un aumento delle cellule T Car nel sangue dopo il trattamento con il nuovo farmaco.
Per Schuster “questo potrebbe significare che mosunetuzumab non solo ha la capacità di uccidere il cancro, ma può anche potenziare l’effetto della precedente terapia Car-T”. L’esperto tiene comunque a precisare che sono necessarie ulteriori ricerche per confermarlo, e per capire in che fase la somministrazione dell’anticorpo possa essere più efficace. Quanto agli effetti collaterali della nuova immunoterapia sperimentale, la sindrome da rilascio di citochine (Crs) – evento avverso tipicamente associato alle terapie cellulari – è stata segnalata nel 29% dei pazienti del trial; di questi solo il 3% ha richiesto il trattamento con tocilizumab, prodotto indicato per contrastare la Crs. Il 4% dei malati trattati, infine, ha riportato effetti collaterali neurologici moderatamente gravi. Sebbene questi risultati siano incoraggianti, commenta Schuster, devono essere confermati da studi più ampi e randomizzati. E un follow-up più esteso dei pazienti coinvolti nello studio fornirà maggiori informazioni sulla durata delle risposte al nuovo anticorpo ‘bifronte’.