Nuova luce sulla codifica degli odori a livello cerebrale

Chiarito il meccanismo molecolare della percezione degli odori, oggetto di oltre vent’anni di ricerche nell’ambito della medicina molecolare
MeteoWeb

Passo in avanti verso la comprensione dei processi responsabili della codifica degli odori a livello cerebrale. Il gruppo di Claudia Lodovichi, primo ricercatore dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Padova ha coordinato uno studio pubblicato su Cell Reports (https://doi.org/10.1016/j.celrep.2019.11.099) che dimostra il meccanismo molecolare di formazione delle mappe topografiche cerebrali, dove i neuroni responsabili della percezione di un dato odore sono raggruppati in specifiche aree del bulbo olfattivo, la zona del cervello che elabora gli stimoli captati nel tessuto delle cavità nasali (epitelio olfattivo) attraverso i recettori olfattivi, proteine prodotte dagli stessi neuroni olfattivi che legano uno specifico odorante ‘intrappolato’ nel muco nasale. “Mentre i neuroni coinvolti nella vista e nell’udito sono disposti già a livello della retina e della coclea secondo un ordine che si proietta all’interno del cervello con la formazione di ‘mappe topografiche’ dove i vari stimoli visivi e uditivi attivano aree diverse”, spiega Lodovichi. “I neuroni sensoriali olfattivi esprimono lo stesso recettore, specifico per un range di odori, e sono localizzati senza un particolare ordine nell’epitelio olfattivo, frammisti a neuroni che esprimono recettori diversi”.

Tuttavia, un preciso ordine spaziale viene raggiunto nel bulbo olfattivo: “Tutti i prolungamenti (assoni) dei neuroni presenti nelle cavità nasali che esprimono lo stesso recettore, convergono infatti in uno specifico punto (glomerulo) sul lato mediale e laterale di ciascun bulbo olfattivo, dando luogo alla mappa topografica olfattiva”, continua la ricercatrice Cnr-In. “Ad ogni glomerulo è dunque associato uno specifico recettore olfattivo, in grado di captare un determinato spettro di odori. La mappa topografica è basata sull’identità del recettore olfattivo, che non solo rileva gli odori ma guida la formazione dei glomeruli stessi”.

Il meccanismo con cui la stessa molecola poteva svolgere ruoli così diversi, oggetto di oltre vent’anni di ricerche nell’ambito delle neuroscienze, era però sconosciuto, fino alla scoperta di Lodovichi e collaboratori: “Il recettore olfattivo, presente nelle cavità nasali ma prodotto anche all’interno del cervello, nella porzione terminale dell’assone, viene attivato da alcune molecole espresse nel bulbo olfattivo per guidare l’aggregazione dei neuroni che esprimono lo stesso recettore nei glomeruli”, prosegue la ricercatrice. “Siamo riusciti a identificare nel fattore fosfatidiletanolammina-1 (PEBP1), la proteina in grado di legare il recettore espresso dal terminale assonico. Nei topi geneticamente modificati per non esprimere tale fattore, la mappa topografica del bulbo è fortemente alterata, confermando il ruolo chiave di tale proteina nell’attivare questo gruppo specifico di recettori”.

Pochi ligandi espressi nel bulbo olfattivo sono pertanto in grado di attivare specifici gruppi di recettori olfattivi tra oltre mille recettori i quali, inoltre, cooperano con altre molecole nella formazione della mappa. “Il recettore olfattivo, pertanto, non definisce solo l’intervallo sensoriale di ciascun neurone, ma anche il suo bersaglio nel cervello: gli odori sono codificati da un pattern spaziale di glomeruli attivati, la cui posizione ha un ruolo cruciale nella codifica e quindi nella finale percezione degli odori”, conclude Lodovichi. “Questa scoperta, oltre che per la comprensione della fisiologia del sistema olfattivo, è rilevante anche perché contribuisce ad approfondire la conoscenza di un sistema che è coinvolto in molteplici patologie neurodegenerative, quali Parkinson ed Alzheimer, i cui pazienti presentano deficit olfattivi anni prima dell’esordio delle alterazioni motorie e cognitive: capire i meccanismi di base che regolano il funzionamento del sistema olfattivo è fondamentale per qualsiasi ulteriore studio finalizzato a chiarire tali processi patologici”.

Il lavoro, supportato dalla fondazione Armenise-Harvard e condotto in collaborazione con i Dipartimenti di scienze biomediche, di scienze chimiche e di scienze farmaceutiche dell’Università di Padova e con l’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova, ha visto la partecipazione di centri di ricerca e università in Belgio, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti.

Condividi