Un segnale di onde gravitazionali che arriva da 500 milioni di anni luce di distanza dalla Terra è stato osservato dalle collaborazioni scientifiche LIGO e Virgo e presentato ieri sera alla comunità scientifica riunita al Meeting dell’American Astronomical Society in corso alle Hawaii, negli stati Uniti. GW190425, questa è la sigla del segnale, è stato osservato alle 8.18 (UTC) del 25 aprile 2019 ed è il primo evento catturato e pubblicato nel corso della terza campagna di osservazione partita lo scorso 1 Aprile. Il segnale è compatibile con la fusione di due stelle di neutroni, simile dunque all’evento annunciato nell’ottobre 2017, che ha sancito la nascita dell’astronomia multimessaggera, ma presenta importanti peculiarità.
Infatti “la massa totale, circa 3.4 volte la massa del Sole, è più grande di quella di qualunque sistema binario di stelle di neutroni noto nella nostra galassia, e ciò ha interessanti implicazioni astrofisiche per la formazione di questi sistemi” commenta Jo van den Brand, Spokesperson dell’Esperimento Virgo. Inoltre, non è stata osservata nessuna controparte elettromagnetica dai telescopi che hanno raccolto l’allerta inviata dalla collaborazione LIGO-Virgo, al contrario di quanto avvenuto nel 2017 (GW170817).
“La ricerca della controparte elettromagnetica di questo segnale è stata molto più complessa a causa della maggiore incertezza nella localizzazione della sorgente, circa 200 volte meno accurata rispetto a quanto avvenuto nel 2017” sottolinea Viviana Fafone, responsabile nazionale per l’INFN di Virgo. “Ciò è dipeso dal fatto che il sistema binario era quattro volte più lontano dalla Terra e che al momento dell’evento la rete dei rivelatori gravitazionali non stava operando al completo”.
“Dopo la sorpresa iniziale, abbiamo analizzato i dati con accurati modelli analitici che descrivono il segnale di onda gravitazionale emesso da due stelle di neutroni secondo la teoria della relatività generale di Einstein, raggiungendo una ragionevole comprensione dell’evento,” spiega Alessandro Nagar, fisico teorico della sezione di Torino delI’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che con il suo team ha contribuito direttamente all’analisi dei dati.
Inoltre, “pur non avendo osservato direttamente l’oggetto formatosi con la fusione dei due corpi, grazie alle nostre simulazioni numeriche possiamo affermare che, nell’ipotesi che i due oggetti fossero due stelle di neutroni, la probabilità che si tratti di un buco nero è pari al 96%,” conclude Sebastiano Bernuzzi dell’Università di Jena. Tuttavia, l’interpretazione del segnale GW190425 non è univoca proprio per via della sua debolezza e non è stato possibile escludere completamente che uno (o perfino entrambi) i due oggetti possano essere buchi neri.