Il terremoto di magnitudo Mw = 6,4 che a fine novembre 2019 ha colpito l’Albania è solo uno degli esempi più recenti dell’importanza della previsione dei terremoti nella società moderna. Nell’occasione di quel sisma, sono crollati moltissimi edifici che, complice l’ora della notte in cui si è verificato l’evento, hanno determinato un grave bilancio delle vittime: 51 morti e 2.000 feriti. Uno dei luoghi comuni più ricorrenti sui terremoti, però, è che non si possono prevedere, nonostante la sismologia abbia compiuto molti passi avanti in questo campo negli ultimi anni, consentendo di determinare quali aree sono a rischio di forti terremoti e fornendo, allo stesso tempo, utili azioni di prevenzione da mettere in pratica per limitare danni ingenti e perdita di vite umane.
Il Prof. Giuliano F. Panza (già docente di Sismologia all’Università di Trieste, membro dell’Accademia Nazionale Lincei, dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, dell’Accademia Europea, della Academy of Sciences for the Developing World e della Russian Academy of Sciences di Mosca, professore onorario della Beijing University of Civil Engineering and Architecture), che ha appena scritto un articolo per la rivista Prometeo, ha spiegato a MeteoWeb in cosa consiste attualmente la previsione dei terremoti, i metodi che consentono di farlo, l’affidabilità di tali previsioni e gli effetti che determinano per la zona interessata.
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Innanzitutto come viene valutata la pericolosità sismica in Italia?
“Nella storia recente della Sismologia è stata decisiva, per la valutazione della pericolosità sismica in Italia, la costruzione del modello sismotettonico e la conseguente zonazione sismogenetica, realizzata negli anni 80 e seguenti, nell’ambito del Progetto Finalizzato Geodinamica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Scandone 1978; Meletti et al 2000). Il modello costituisce la base geologica di supporto sia per la definizione probabilistica (PSHA) che per quella neo-deterministica (NDSHA) della pericolosità sismica. L’approccio neo-deterministico, basato sul concetto di terremoti di scenario, considera l’insieme dei terremoti che contribuiscono maggiormente alla pericolosità sismica, e, contrariamente a PSHA non dipendendo dalle scosse minori, non è affetto dall’intrinseca, ovvia incompletezza della registrazione di quest’ultime. Il metodo è stato sviluppato utilizzando i dati disponibili per l’Italia, dove esiste un catalogo nazionale (CPTI04) unico al mondo per qualità, ricchezza d’informazione ed estensione temporale (oltre un millennio); in seguito è stato applicato in molti altri Paesi del Mediterraneo e del mondo”.
Come si arriva all’identificazione delle aree dove possono verificarsi forti terremoti?
“Per attenuare l’effetto dei limiti delle osservazioni disponibili nel catalogo dei terremoti, l’approccio NDSHA considera il potenziale sismogenetico incombente, così come definito dalla storia sismica (catalogo dei terremoti che contribuiscono maggiormente alla pericolosità sismica, estratto da CPTI04) e dall’individuazione delle zone sismogenetiche silenti, cioè di quelle zone tettonicamente attive, per le quali, allo stato delle conoscenze attuali, non si ha notizia di attività sismica. Ciò è reso possibile dall’informazione in gran parte fornita dai nodi sismogenetici, identificati partendo dall’analisi morfostrutturale e dalle successive elaborazioni (Gelfand et al 1972).
La zonazione morfostrutturale è una procedura formalizzata in modo matematico e quindi falsificabile secondo il criterio di Popper. Consiste nella suddivisione del territorio studiato sulla base degli elementi del rilievo terrestre (morfostruttura), realizzata utilizzando dati topografici, morfologici, geologici e geofisici, ma non quelli sismologici. Infatti la fisionomia attuale (ad esempio le grandi catene montuose, gli archi vulcanici insulari, gli altopiani, le estese depressioni) è il risultato dell’azione prevalente di fattori endogeni. Tali strutture hanno conservato nelle linee generali la propria fisionomia, anche se sono state diversamente modellate nel corso del tempo geologico da agenti esogeni, quali erosione, cambiamenti improvvisi della temperatura, attività di organismi viventi. La sismicità osservata non è utilizzata nella definizione formale dei nodi morfostrutturali, i quali sono localizzati in aree corrispondenti all’intersezione dei lineamenti morfostrutturali, lineamenti visibili in superficie, che non vanno tuttavia confusi con le singole faglie. La successiva procedura di riconoscimento dei tratti caratteristici (pattern recognition) applicata ai nodi morfostrutturali consente l’identificazione, con un naturale e inevitabile margine di errore proprio di ogni misura fisica, dei nodi sismogenetici. Il riconoscimento dei nodi sismogenetici (zone soggette a terremoti superiori ad una certa magnitudo) si basa sull’ipotesi che i nodi, all’interno dei quali risulta che si è già verificato un forte terremoto, abbiano caratteristiche morfostrutturali analoghe a quelle dei nodi all’interno dei quali non si ha ancora notizia di eventi sismici storici e strumentali, ma che si ritiene abbiano la potenzialità di generare un forte evento. Mi piace qui ricordare che “…. As far as the laws of mathematics refer to reality, they are not certain; and as far as they are certain, they do not refer to reality… .” come molto appropriatamente è stato affermato da Einstein”.
Qual è l’affidabilità di tale metodologia?
“Su scala mondiale, a partire dal 1972 con questa metodologia sono state studiate complessivamente ventisei regioni sismiche e sono state pubblicate le mappe con i nodi riconosciuti come sismogenetici. Dopo la pubblicazione, undici regioni sono state colpite da terremoti con magnitudo rilevanti. L’analisi di Gorshkov e Novikova (2017), realizzata allo scopo di verificare la correlazione tra gli eventi avvenuti dopo la pubblicazione delle mappe nelle undici regioni ed i nodi sismogenetici individuati, dimostra che l’86% di tali eventi ricade nei nodi morfostrutturali, in precedenza identificati come sismogenetici. È così fornita una evidente prova empirica della validità del metodo e viene confermata l’ipotesi che i forti terremoti hanno di preferenza origine in corrispondenza dei nodi identificati come sismogenetici”.
Cosa si intende per pattern recognition e qual è la sua utilità nella previsione dei terremoti?
“La procedura di pattern recognition consiste nell’analisi ed identificazione di specifici andamenti o raggruppamenti (pattern) all’interno di dati grezzi (dati topografici, morfologici, geologici e geofisici) con l’obiettivo di definire un classificatore dei dati stessi (recognition), basato su conoscenze a priori o informazioni statistiche estratte dagli andamenti stessi. Si tratta di una procedura del tutto generale, applicabile a problemi per la cui risoluzione è necessario riconoscere se un dato oggetto (fenomeno o processo) appartiene o meno ad uno specifico gruppo (o classe), anche in assenza di un congruo modello fisico. Alcuni esempi: (a) identificare se un dato intervallo di tempo appartiene alla classe degli intervalli che, di norma su scala globale, precedono un forte terremoto, (b) identificare se un nodo morfostrutturale appartiene al sottoinsieme (o classe) dei nodi sismogenetici, sulla base dei tratti morfologici caratteristici, definiti sempre di norma su scala globale, (c) riconoscere per mezzo di google (https://www.google.it/policies/technologies/pattern-recognition/?) i tratti identificativi (recognition) e le proprietà tipiche (pattern) di un oggetto (fenomeno o processo), in attesa che per lo stesso vengano formulati modelli fisici appropriati. La procedura di pattern recognition è quindi appropriata per lo studio del terremoto, in particolare della sismogenesi, fenomeno naturale la cui fisica è tuttora conosciuta solamente allo stato embrionale”.
Quali sono le differenze tra l’approccio NDSHA e l’approccio PSHA e quali effetti ne derivano in termini di attendibilità della definizione della pericolosità sismica?
“Le informazioni fornite dai nodi sismogenetici, dagli studi di paleosismicità (evidenze di terremoti avvenuti in epoca preistorica) e dalle altre indagini tese ad individuare sorgenti sismotettoniche attive, benché storicamente silenti, possono essere utilmente e naturalmente introdotte nelle procedure per la stima neo-deterministica della pericolosità sismica. L’utilizzo di tali informazioni negli approcci probabilistici è di fatto impossibile o estremamente limitato a causa: (a) dell’intrinseca impossibilità che tali metodi hanno di fornire indicazioni sui tempi di occorrenza dei potenziali forti terremoti in aree storicamente silenti e (b) della brevità del tempo di osservazione umana rispetto alle scale temporali geologiche, anche facendo ricorso ad osservazioni paleosismologiche.
I valori determinati da NDSHA (Panza et al 2001; Panza e Peresan 2016, p. 85 e segg.) (vedi Figura 1 e Figura 2) sono stati drammaticamente confermati dai recenti terremoti che hanno causato vittime ed ingenti danni. Gli stessi terremoti hanno rappresentato invece inattesi eventi, “sorprese”, per l’approccio probabilistico (PSHA, vedi Figura 3), nonostante quest’ultimo sia basato sulla medesima zonazione sismogenetica e sullo stesso catalogo nazionale. Questo divario ha consentito di evidenziare e dimostrare scientificamente i principali errori e mancanze dell’approccio probabilistico, che si fonda sul concetto chimerico di “periodo di ritorno” (Eos 2019).
La mappa ufficiale di pericolosità sismica probabilistica, utilizzata peraltro nelle norme tecniche per le costruzioni italiane, risale al 2004 (mappa MPS04 diventata ufficialmente la mappa di riferimento per il territorio nazionale con l’emanazione dell’Ordinanza PCM 3519/2006 – G.U. n.105 dell’11 maggio 2006). La mappa di pericolosità sismica neo-deterministica risale al 2000.
L’Aquila 2009 (6 aprile 2009, Magnitudo, M = 6,3). Sebbene sia avvenuto in una zona definita ad alta pericolosità sismica, i valori di accelerazione osservati hanno superato quelli previsti dal codice antisismico, ovvero: valore atteso (per “periodo di ritorno” di 475 anni) pari a 0,250-0,275 g (mappa MPS04, http://www.mi.ingv.it/pericolosita-sismica/), valore osservato maggiore di 0,35 g (309 vittime), dove g è l’accelerazione di gravità, il cui valore medio convenzionale è pari a 9,81 m/s², ed è ottenuto come media tra i valori di g ai poli ed all’equatore;
Emilia 2012 (20 maggio, M = 5,9; 29 maggio, M = 5,8). Avvenuto in una zona definita a basso rischio sismico, i valori osservati hanno superato quelli attesi: valore atteso (475 anni) minore di 0,175 g (mappa MPS04); valore osservato maggiore di 0,25 g (17 vittime);
Italia Centrale 2016 (24 agosto, M = 6,0; 30 ottobre, M = 6,5). La sequenza è avvenuta in una zona definita ad alta pericolosità sismica, tuttavia i valori di accelerazione osservati superano quelli previsti dal codice antisismico, in altre parole: valore atteso (475 anni) 0,250-0,275 g (mappa MPS04), valore osservato maggiore di 0,4 g (valore maggiore rispetto a quello registrato all’Aquila) (299 vittime);
Ischia 2017 (21 agosto, M=4,0-4,2). I valori osservati 0,280 g hanno superato quelli attesi: secondo le Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC2008) (http://www. cslp.it/cslp/index.php?option=com_content&task=view&id=66&Itemid=20), nella mappa MPS04 (475 anni) valore atteso 0,1511 g al substrato roccioso; se tale valore è corretto per gli effetti locali si ottiene un valore atteso 0,181 g, che evidenzia un fattore di NON SICUREZZA superiore al 55% (0,280/0,181). Al contrario NDSHA stima al substrato roccioso valori nell’intervallo [0,15-0,30] g, che compresi gli effetti locali come determinati da NTC2008, diventa [0,18-0,36] g, intervallo entro cui cade il valore osservato 0,280g! (2 vittime).
Verosimilmente il divario tra la realtà e quanto previsto dalla normativa è anche più ampio se si considera che i pochi luoghi di registrazione strumentale non coincidono necessariamente con quelli nei quali il terremoto si è realmente manifestato con la massima violenza. In altre parole, per ogni terremoto non è detto che, di regola, le misure strumentali siano rappresentative dei massimi scuotimenti del suolo causati dal terremoto stesso.
Al di fuori del territorio italiano, ma non molto lontano, nell’area dell’Albania gravemente colpita dal sisma M 6,4 del 26 novembre 2019, il valore NDSHA al substrato roccioso è stato stimato nel 2002 pari a circa 0,3 g ed inviluppa adeguatamente bene quelli osservati (https://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us70006d0m/shakemap/pga). Sono stati osservati valori maggiori laddove si prevedono forti “effetti di sito” con fattori di “amplificazione” di 4-5 rispetto alle sollecitazioni sismiche avvertite dai siti rocciosi (https://temblor.net/earthquake-insights/albania-earthquake-strikes-highest-hazard-zone-in-the-balkans-devastating-nearby-towns-10153/). I valori previsti da PSHA non superano 0,18 g!. Ultima ma non meno importante considerazione, il rischio di tsunami nel Mare Adriatico è stato modellato già nel 2007 (https://www.meteoweb.eu/2019/11/terremoto-albania-rischio-tsunami-adriatico-scenari-pericolo-coste-italia/1352011/) seguendo l’approccio NDSHA. Nonostante le stime conservative fornite da NDSHA nel 2007 e 2009, escludano qualsiasi rilevante tsunami causato dal terremoto di M 6,4 del 26 novembre 2019, il Centro nazionale per lo tsunami dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha emesso, 7 minuti dopo il sisma, un avviso alla protezione civile per il rischio di tsunami in Albania, Montenegro e Italia. L’allerta è stata revocata la mattina del 27 novembre, a causa delle misurazioni dei mareografi. (https://www.agi.it/estero/terremoto_albania-6620218/news/2019-11-26/)”.
I dati che ci ha presentato dimostrano indubbiamente la maggiore validità dell’approccio NDSHA rispetto a quello PSHA, eppure le norme tecniche per le costruzioni e le mappe di pericolosità si basano ancora su quest’ultimo. Sembra, dunque, evidente che bisognerebbe cambiarle. Com’è la situazione da questo punto di vista?
“Se non ora, dopo tutte queste forti invalidazioni sperimentali, indicative di un evidente e pericoloso errore di approccio, quando cambiare le norme tecniche per le costruzioni e le mappe di pericolosità cui fanno riferimento? Eppure nel 2018 le vecchie norme sono state riconfermate, nonostante in proposte di legge del 2012 e del 2013 si legga quanto segue.
“Nel recente passato sono stati sviluppati anche metodi deterministici o, più recentemente, neo-deterministici (Neo-Deterministic Seismic Hazard Assessment – NDSHA) per superare queste limitazioni [n.d.r. quelle del metodo PSHA]. Il metodo NDSHA è un approccio innovativo, già applicato in diversi Paesi, che è basato sul calcolo di segnali sintetici realistici e che non richiede il ricorso alle relazioni di attenuazione che sono semplificazioni non affidabili della realtà fisica. L’opportunità di affiancare il metodo NDSHA ai metodi tradizionali è stata già riconosciuta dal Parlamento con l’approvazione da parte della VIII Commissione permanente ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati della risoluzione n. 8-00124 degli onorevoli Benamati, Ginoble e Alessandri.”.
Non escludo l’assuefazione ad una pratica che, pur nata errata, ha difficoltà a morire. Inoltre, il metodo NDSHA comporta interventi (e quindi spese) immediati, quello probabilistico consente di lasciarci cullare nell’incerta speranza di … buona sorte. Il metodo NDSHA obbliga a rivedere le emergenze sulle quali impegnare denaro pubblico, alcune delle quali sono, a dir poco, opinabili, come ad esempio quelle connesse con la promozione della fallimentare (https://www.nicolaporro.it/conti-alla-mano-perche-greta-fallira/) green economy (https://www.meteoweb.eu/2019/10/terremoto-italia-colpire-momento-stato-non-informa/1326623/ e https://www.meteoweb.eu/2019/12/greta-thunberg-persona-anno-prof-franco-battaglia-costruita-come-tale-notizia-triste/1359109/).”
Per tutti gli eventi che hanno causato vittime, la mappa di scenario neo-deterministica, pubblicata nel 2000, fornisce valori che includono quelli osservati. La mappa probabilistica MPS04 invece, nonostante utilizzi sia la stessa zonazione sismogenetica, formulata nel Progetto Finalizzato Geodinamica, sia lo stesso catalogo nazionale di terremoti, ha fallito in occasione di tutti gli eventi summenzionati. A proposito delle stime probabilistiche (Panza e Peresan 2016, p. 73 e segg.) è possibile imbattersi in accorati appelli contro la dissipazione di capitali pubblici e la totale insensatezza dei criteri legati alla concezione del sisma bonus (Crespellani et al 2018); nonché in sconfortanti ed inquietanti dichiarazioni pubbliche a lode della mappa invalidata (https://blog.ilgiornaledellaprotezionecivile.it/italiapaesesismico/2019/01/06/come-si-racconta-la-pericolosita-sismica/, 2019.). Su questa materia drammaticamente importante ed attuale, ma ahimè non debitamente affrontata nelle sedi competenti, apprezzabili approfondimenti multidisciplinari e critiche severe sono contenuti in Rugarli (2014, p. 545 e segg.; 2018, p. 5 e segg.; 2019, p. 7 e segg.) e Rugarli et al. (2019). Si conclude che l’approccio neo-deterministico rappresenta una già esistente ed affidabile alternativa al diffuso uso dell’approccio probabilistico che è risultato del tutto inaffidabile, anche perché affetto da gravi errori matematici e fisici, come diffusamente illustrato da Panza e Peresan (2016, p. 73 e segg.). Come descritto in dettaglio da Panza e Peresan (2016, p. 157-163), l’approccio neo-deterministico è stato applicato per la valutazione della vulnerabilità sismica di alcuni edifici strategici di Trieste (http://www.xeris.it/index.html) ed alla Biblioteca Marciana di Venezia (www.veneto.beniculturali.it/prevenzione-sismica-area-veneta)”. E’ quindi auspicabile che quanto scritto nelle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) “L’uso di accelerogrammi generati mediante simulazione del meccanismo di sorgente e della propagazione è ammesso a condizione che siano adeguatamente giustificate le ipotesi relative alle caratteristiche sismogenetiche della sorgente e del mezzo di propagazione” (NTC2008 capitolo 3.2.3.6) e “L’uso di storie temporali del moto del terreno generate mediante simulazione del meccanismo di sorgente e di propagazione è ammesso a condizione che siano adeguatamente giustificate le ipotesi relative alle caratteristiche sismo genetiche della sorgente e del mezzo di propagazione e che, negli intervalli di periodo sopraindicati, l’ordinata spettrale media non presenti uno scarto in difetto superiore al 20% rispetto alla corrispondente componente dello spettro elastico” (NTC2018 capitolo 3.2.3.6) non si limiti ad un semplice implicito consenso, che riecheggia i contenuti delle proposte di legge del 2012 e 2013, per l’uso di NDSHA a discrezione (etica) del progettista, ma sia riformulato in forma più cogente, in modo che la protezione offerta da NDSHA non sia limitata ad edifici strategici od al patrimonio culturale, come descritto negli esempi appena menzionati, ma sia disponibile a chiunque”.
In merito alla questione della previsione dei terremoti, materia in cui il Prof. Panza è uno dei più grandi luminari al mondo, ha spiegato:
“La previsione dei terremoti, secondo la definizione data dall’United States National Research Council, Panel on Earthquake Prediction of the Committee on Seismology, consiste nell’indicazione simultanea della magnitudo, della localizzazione e del tempo origine di un futuro evento sismico, con una precisione tale da consentire una valutazione univoca del successo o fallimento della previsione stessa. Si tratta quindi di una definizione scientifica che soddisfa appieno il principio di falsificabilità popperiano, ovvero la possibilità di confutazione.
Un’asserzione molto comune, ma non necessariamente corretta (dato che la scienza non è democratica) è la seguente: “i terremoti non si possono prevedere” (https://www.meteoweb.eu/2012/06/terremoti-intervista-al-prof-giuliano-panza-dire-che-non-si-possono-prevedere-significa-fare-disinformazione-anche-se-non-ce-precisione/137820/). Se ciò fosse vero, la soluzione sarebbe unicamente quella di costruire seguendo criteri antisismici affidabili. Tale soluzione però potrebbe valere per le nuove costruzioni, ma quali azioni preventive di retrofitting (rinforzo e ristrutturazione) possono essere efficacemente applicate all’esistente? (https://www.meteoweb.eu/2018/12/prevedere-i-terremoti-3/1187675/)
Inoltre è accettabile fare affidamento, come previsto dalla normativa, sia per le nuove costruzioni sia per quelle esistenti, su carte di pericolosità probabilistiche, che, come abbiamo mostrato, si sono rivelate inaffidabili?”.
A sostegno di quanto affermato, il Prof. Panza propone l’esempio di Norcia, citando gli interventi eseguiti dopo il terremoto del 1997 e la loro inadeguatezza emersa in occasione del sisma del 2016:
“Un esempio emblematico e recente della fondatezza di tale dubbio è costituito dagli interventi di ricostruzione eseguiti a Norcia in seguito al terremoto di Umbria e Marche del 1997 (M=6,0), basati appunto sulla carta PSHA alla base della normativa. Gli interventi si sono rivelati del tutto inadeguati in occasione del terremoto di Norcia del 30 ottobre 2016, evento che ha superato il valore di scuotimento indicato nella mappa probabilistica. La carta neo-deterministica invece già indicava per Norcia una pericolosità maggiore, anche se non superata (benché di poco) dall’evento dell’ottobre 2016. Verosimilmente, se la ricostruzione e l’adeguamento antisismico dopo il 1997 fossero stati realizzati tenendo conto delle stime neo-deterministiche, disponibili dal 2000, i danni sarebbero stati di gran lunga inferiori se non trascurabili, rispetto a quelli riscontrati successivamente al 30/10/2016. La normativa recita: “L’uso di accelerogrammi generati mediante simulazione del meccanismo di sorgente e della propagazione è ammesso a condizione che siano adeguatamente giustificate le ipotesi relative alle caratteristiche sismogenetiche della sorgente e del mezzo di propagazione”. Gli interventi successivi all’evento del 1997, eseguiti seguendo le valutazioni probabilistiche, proposte nel 1998 (Dolce et al 2004) e riviste nelle NTC2008 e NTC2018, hanno consentito certamente una spesa iniziale inferiore rispetto a quella preventivabile in base alle stime di scenario neo-deterministiche. Tuttavia tale spesa a risparmio è stata vanificata dall’evento dell’ottobre 2016 e nella ricostruzione è necessario considerare i valori NDSHA. “Il terremoto del 24 Agosto 2016 non ha necessariamente generato il maggior scuotimento possibile nella zona, dato che nel 1703 l’area è stata colpita da un evento con M=6,9, noto come terremoto della Valnerina. Questo fatto va tenuto ben presente nell’attuale fase di ricostruzione, poiché effetti di sorgente ed effetti del suolo locale (effetti di sito) possono portare anche a valori maggiori di 0,6g”, essendo questo il limite superiore previsto in condizioni di basamento consolidato. Quanto precede tra (“) è stato pubblicato prima del 30 ottobre 2016 (Panza e Peresan 2016, p. 154), giorno nel quale Norcia è stata praticamente distrutta dall’evento con M=6,5!”.
I terremoti, dunque, si possono prevedere e questo dovrebbe incentivare l’attuazione di misure preventive per evitare danni ingenti e la perdita di vite umane. Eppure in Italia si continuano a registrare danni e morti anche per scosse che nei Paesi che hanno una sviluppata cultura anti-sismica, come il Giappone, produrrebbero danni minimi, se non nulli. Cosa ne pensa?
“Partendo dal discutibile presupposto che i terremoti non si possono prevedere, gli Amministratori possono ovviamente giustificare la mancata attività preventiva, proprio sulla base della presunta impredicibilità degli eventi sismici. Se invece si tiene presente quanto già acquisito con la previsione dei terremoti a medio termine spazio-temporale (intermediate-term middle-range) (Kossobokov et al 2015, Kossobokov e Soloviev, 2015; Panza e Peresan, 2016), che rispetta la definizione dell’United States National Research Council, Panel on Earthquake Prediction of the Committee on Seismology, è corretto asserire che i terremoti si possono prevedere, ma non con una assoluta precisione spazio-temporale. In tal caso è possibile, quindi necessario e doveroso per gli Amministratori predisporre azioni preventive a medio termine. Il 27 giugno 2012 ne “Il giornale della protezionecivile.it” (https://www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it/attualita/terremoto-convogliare-lt-br-gt-la-paura-in-prevenzione) il Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, facendo riferimento alle previsioni a medio termine spazio-temporale, ha affermato che tali previsioni hanno un margine di errore e di incertezza troppo ampio per poter essere utilizzate nella pratica. Quindi si ammette che è possibile la previsione a medio termine spazio-temporale, ma si insiste sulla sua non utilizzabilità pratica, nonostante le indicazioni UNESCO del 1977, richiamate qui di seguito. Pertanto sorge spontanea la domanda: cui prodest?
Il medesimo modello sismotettonico (Scandone 1978; Meletti et al 2000) è stato utilizzato anche per la definizione a priori delle zone da sottoporre a monitoraggio con algoritmi di previsione a medio termine spazio-temporale in Italia (Peresan et al. 2005; Panza e Peresan 2016, p. 107 e segg.), basati sull’identificazione, mediante tecniche di pattern recognition, di specifici andamenti della sismicità nei cataloghi dei terremoti. La previsione include naturalmente una percentuale intrinseca di falsi allarmi e di fallimenti di previsione, ma si dimostra statisticamente significativa, ossia superiore alla dichiarazione casuale degli allarmi ed in sintonia col principio di confutazione di Popper.
I risultati conseguiti, utilizzando come informazione a priori il modello sismotetettonico, confermano la validità generale di quanto segue (Peresan, 2018).
I terremoti principali (main shocks) non sono prevedibili con una precisione compatibile con allarme rosso ed evacuazione; però, grazie agli algoritmi di previsione a medio termine spazio-temporale esistenti, è possibile mettere in atto azioni preventive efficaci, come anche suggerito da UNESCO (Proc. UNESCO Conference on Seismic Risk, Paris, 1977; Kantorovich, e Keilis-Borok, 1991)”.
Quali azioni di prevenzione potrebbero essere messe in atto alla luce delle previsioni di terremoto per una determinata zona?
“Le misure preventive di seguito elencate non sono indipendenti fra loro, ma compongono un’ovvia gerarchia ed acquistano significato solo se attivate in un certo ordine, come parte di uno scenario di risposta alla previsione.
- a) Misure di sicurezza permanenti, che possono essere adottate nell’arco di decenni:
- limitazioni nell’utilizzo del territorio, specialmente per strutture ad elevato rischio ed attività che possono indurre terremoti;
- normativa sismica per l’edilizia, che richieda l’adeguamento antisismico degli edifici;
- restrizione delle norme generali di sicurezza;
- potenziamento dei servizi di pubblica sicurezza;
- assicurazione e tassazione specifica;
- raccolta ed analisi dei dati per la stima del rischio sismico e per l’identificazione dei precursori del terremoto;
- preparazione della risposta alla previsione e delle attività post-disastro: pianificazione; definizione della normativa di base; accumulo delle scorte; simulazione degli allarmi, formazione della popolazione, ecc.
- b) Misure di sicurezza temporanee, che possono essere adottate come risposta ad un allarme:
- rafforzamento delle misure di sicurezza permanenti appena elencate;
- definizione di un piano di ristrutturazione per gli edifici strategici nell’area allertata;
- verifica dello stato degli alloggi temporanei (e.g. tende, strutture prefabbricate, ecc.) e garanzia della loro pronta disponibilità;
- predisposizione delle misure di intervento e soccorso a lungo termine (finalizzate al ripristino delle strutture abitative, degli apparati produttivi e delle attività lavorative, ecc.);
- evacuazione della popolazione e di strutture altamente vulnerabili (e.g. scuole ed ospedali);
- neutralizzazione delle potenziali sorgenti ad alto rischio: condutture (elettrodotti, oleodotti, gasdotti, ecc.); centrali nucleari; impianti chimici; edifici precari (sospensione delle attività, parziale demolizione, ecc.);
- mobilizzazione dei servizi di soccorso;
- verifica della pronta operatività dei piani di soccorso;
- intensificazione delle pratiche di prontezza operativa, aumentando la frequenza delle attività che coinvolgono studenti e Protezione Civile;
- monitoraggio dei cambiamenti socio-economici e previsione-prevenzione dei rischi eventualmente indotti;
- applicazione di disposizioni economiche obbligatorie;
- diffusione sistematica, attraverso i media, di semplici istruzioni per la predisposizione di punti di soccorso, in corrispondenza delle parti più resistenti degli edifici, forniti dei viveri essenziali (acqua, cibi di emergenza, oggetti di primo soccorso, ecc.).
Le azioni di basso profilo elencate sono, seppur in modo diverso, applicabili su scala internazionale, nazionale, regionale e locale.
Come documentato, ad esempio, al sito http://www.mitp.ru/en/cn/CN-Italy.html gli studi svolti in Italia (vedi Figura 4) hanno confermato che i terremoti principali non sono prevedibili con una precisione compatibile con allarme rosso ed evacuazione, tuttavia grazie agli algoritmi di previsione a medio termine spazio-temporale esistenti e convalidati con un livello di confidenza superiore al 97% (Peresan 2018), è possibile mettere in atto efficaci azioni preventive. Incidentalmente si può ricordare che l’evento di magnitudo Mw = 6,4 che a fine novembre 2019 ha colpito l’Albania è stato preceduto da un’allerta iniziata il primo settembre 2019.
Restano quindi irrisolti i quesiti, ma è auspicabile che quanto esposto fornisca utili spunti per una doverosa soluzione. A tale scopo si ricorda che di recente è stato possibile dimostrare che un’adeguata sinergia tra dati sismologici – allarmi degli algoritmi di previsione a medio termine – e dati geodetici – Global Positioning System (GPS) e Global Navigation Satellite System (GNSS) – porta a ciò che può essere chiamato (Crespi et al 2019) previsione dei terremoti a medio termine nel tempo e corto raggio nello spazio (intermediate-term narrow-range earthquake prediction). Grazie a tale sinergia, l’estensione delle aree allertate dagli algoritmi di previsione basati sull’analisi dell’andamento della sismicità (seismicity patterns), può essere ridotta da dimensioni lineari di alcune centinaia di chilometri a dimensioni di decine di chilometri. Ciò consente l’attuazione più mirata di azioni preventive di basso profilo, quali quelle raccomandate da UNESCO già nel 1970 (Panza et al 2017; Crespi et al 2019)”.
Il Prof. Panza conclude sottolineando che, sebbene non sia possibile prevedere i terremoti con estrema precisione, le previsioni a medio termine spazio-temporale rappresentano un valido strumento per attuare misure di prevenzione:
“I pericoli associati ai terremoti hanno alcuni elementi comuni con i pericoli derivanti da possibili attacchi terroristici, che fanno drammaticamente parte della nostra vita quotidiana (Peresan, 2018). In entrambi i casi, infatti, non si sa con precisione quando avverrà l’attacco (o il terremoto), sebbene siano note la maggior parte ma non tutte le aree sensibili (o le zone sismogenetiche). Una previsione esatta dei terremoti, compatibile con la dichiarazione di allarme rosso ed azioni vincolanti quali l’evacuazione, non è possibile attualmente, se mai lo sarà. Tuttavia, le consolidate previsioni a medio termine spazio-temporale e le promettenti previsioni a medio termine nel tempo e corto raggio nello spazio (intermediate-term narrow-range earthquake prediction) suggeriscono l’adozione di varie efficaci azioni a basso profilo, quali quelle menzionate, nonché la definizione dipendente dal tempo della pericolosità (Panza et al 2017; Crespi et al 2019). Inoltre, sebbene con il terrorismo la situazione sia alla fine meno definita, diverse strategie sviluppate per la protezione dagli attacchi terroristici sono adatte, mutatis mutandis, per la mitigazione dell’impatto dei terremoti.
Tutto quanto qui sintetizzato è auspicabile che trovi accoglienza presso gli addetti ai lavori. Mi piace infine ricordare il pensiero di Galileo Galilei, sovente così parafrasato:
“in questioni della scienza, l’autorità di mille non vale l’umile ragionamento di un singolo individuo”,
e quanto da lui affermato (Il Saggiatore, 1623, Cap 6):
“…. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, ….”,
nonché la già citata affermazione di Albert Einstein (Geometry and Experience, 27 gennaio, 1921):
“…. As far as the laws of mathematics refer to reality, they are not certain; and as far as they are certain, they do not refer to reality….”.
Molti dei risultati qui brevemente descritti hanno ricevuto importanti riconoscimenti scientifici internazionali tra i quali il più recente è l’International Award 2018 dell’American Geophysical Union (EOS, 2019)”.
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