Accadde oggi: nel 1783 il maremoto di Scilla, lo tsunami italiano che ha causato il maggior numero di vittime

Dopo il terremoto avvenne la frana: nel giro di uno-due minuti un’enorme ondata si abbatte su Scilla, travolgendo la popolazione rifugiatasi sulla spiaggia
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Nel 1783 iniziò quella che è passata alla storia come la grande crisi sismica in Calabria, durante la quale si verificarono due grossi terremoti che hanno interessato la dorsale calabra dallo Stretto fino a nord”. A ricordare l’evento è il prof. Stefano Tinti docente di geofisica dell’Università di Bologna, che spiega come tra il 6 e il 7 febbraio “a Scilla avvenne il maremoto che in Italia ha causato il maggior numero di vittime: ben 1500 persone“. Ma perché così tante vittime? Lo tsunami fu causato da un’immensa frana (un fronte di circa 500 metri ed un volume di diversi milioni di metri cubi) che si era staccata dal Monte Pacì (immediatamente a Sud di Scilla), rovinando precipitosamente in mare nel giro di pochi secondi. La frana era avvenuta a seguito di un forte terremoto. “L’errore – spiega l’esperto – fu dovuto al fatto che la popolazione si era raccolta nella Marina Grande di Scilla, per via della convinzione erronea che la spiaggia fosse un posto sicuro per proteggersi da frane e scosse. In realtà è tutto il contrario: nelle zone a rischio maremoto è il luogo meno sicuro, e infatti quello fu lo tsunami che in Italia ha causato il maggior numero di morti. Alle vittime calabresi vanno sommate altre 20 circa in Sicilia”.

I FATTI E GLI EVENTI SISMICI

Tra il 1783 ed il 1785 la Calabria meridionale venne interessata da quella che i sismologi hanno identificato come una vera e propria “crisi sismica”, caratterizzata da una terribile serie di terremoti, ravvicinati nel tempo e spesso disastrosi al punto da cambiare radicalmente la morfologia del territorio. Alcune montagne furono letteralmente spaccate in due come accadde al colle su cui sorgeva Oppido Mamertina che poi venne ricostruita in altro luogo. Nella valle del Mesima apparvero strani crateri circolari. Sorsero qua e là nuove sorgenti e geysers. Si verificarono numerosi fenomeni di liquefazione, con fratture radiali del terreno e fagliazione superficiale. Parecchie frane ostruirono i corsi d’acqua e si calcola che nacquero in questo modo almeno 200 nuovi laghi, sconvolgendo l’intero sistema idrogeologico della zona. La crisi toccò il suo apice tra il Febbraio e il Marzo del 1783 quando, nel giro poco meno di due mesi, si verificarono ben cinque grandi terremoti, a ciascuno dei quali si associò uno tsunami.

Alle 00.20 del 7 Febbraio 1783 si verifica una scossa di magnitudo 6.3 e grado Scala Mercalli VIII-IX, con epicentro sulla costa di Villa S. Giovanni. A Scilla ulteriori costruzioni, oltre a quelle già distrutte, vengono lesionate. La popolazione è spaventata e si diffonde il panico. Poco dopo la scossa avvenne la frana: nel giro di uno-due minuti un’enorme ondata si abbatte su Marina Grande, travolgendo la popolazione rifugiatasi sulla spiaggia. Il mare seppellì tutto, risalendo il vallone del torrente Livorno per diverse decine di metri, con un run-up stimato di almeno dieci metri (alcune testimonianze parlano di “acqua fino ai tetti delle case”), inondando anche Chianalea e la zona di Oliveto. Il bilancio fu di oltre 1500 morti i cui cadaveri, alcuni irriconoscibili, vennero bruciati per evitare infezioni. Alcune vittime vennero ritrovate sui terrazzi e perfino sui tetti delle case, altre sugli alberi e il mare continuò a restituire per oltre un anno altri corpi e detriti.

Lo Tsunami di Scilla: quel 6 febbraio 1783 di terrore e distruzione nel Reggino Tirrenico

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